Sting, di Kiah Roache-Turner
Una nuova invasione di ragni giganti, raccontata con piglio fiabesco e prospettiva da dramma familiare. Presentato al Bruxelles International Fantastic Film Festival

Non è da tutti concedersi il lusso dello spider-movie: a volte è solo un esercizio di stile epidermico, ma se a metterci le mani (o meglio le zampe) è un filmmaker australiano, c’è un simpatico risvolto in più, essendo notoriamente quella latitudine particolarmente generosa di creature pericolose e/o di autentici mostri a otto zampe giganti (i più grossi, per fortuna, sono però abbastanza innocui). Nel caso di Kiah Roache-Turner – da noi noto per Road of the Dead – il vantaggio non è comunque esibito, sia perché il suo Sting si ambienta a New York, sia perché l’aracnide della situazione proviene dallo spazio e arriva sulla Terra a bordo di un meteorite, come a onorare la gloriosa tradizione anni Cinquanta che nei corpi in caduta e nei presupposti fantascientifici trovava l’humus migliore.
Presentato in chiusura del Bruxelles International Fantastic Film Festival, il film sceglie comunque l’approccio della fiaba, in cui la giovanissima protagonista Charlotte si presenta con tanto di cappucci(ett)o rosso e vive la sua avventura nel pieno di una nevicata da record che fa tanto canto di Natale dickensiano: la famiglia in effetti non è proprio felicissima, con due genitori che si affannano a far quadrare il bilancio famigliare, mentre sono vessati da una zia-Scrooge avarissima e lui, patrigno, vive anche un evidente senso di inferiorità rispetto al padre autentico, che ha abbandonato il desco famigliare, ma è ancora venerato dalla bambina come un eroe.
Nel frattempo, Charlotte fa la donna ragno: letteralmente, perché si arrampica agile nei condotti d’areazione con cui si sposta nel palazzo. E la sua tela sono le griglie dei fumetti che fa disegnare al patrigno e con cui si connette tanto al padre perduto che a quello trovato, almeno finché non arriva appunto l’aracnide a scombussolare i già fragili equilibri. A lui va il nome di Sting, ovvero Pungolo, la spada di Frodo ne Lo Hobbit – un omaggio metafilmico alla Weta che aveva lavorato ai kolossal di Peter Jackson e qui si occupa degli effetti speciali. Ma invece della creatura gentile immaginata da Tolkien, lo Sting a otto zampe inizia a fare come l’Alien prima maniera. D’altra parte si sa, le tele sono vischiose e così Charlotte, la ragazza ragno che si muove fra gli spazi e le relazioni complicate, deve affrontare quella che a tutti gli effetti diventa la sua perfetta nemesi, fra i condotti e per la vita famigliare.