Sting, di Kiah Roache-Turner

Una nuova invasione di ragni giganti, raccontata con piglio fiabesco e prospettiva da dramma familiare. Presentato al Bruxelles International Fantastic Film Festival

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OPEN DAY OPERATIVO: A scuola di cinema, a Roma 3/4 maggio (iscrizione gratuita)

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Fundraising per l’audiovisivo: Corso online dal 14 aprile

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Produzione e Distribuzione Cinema: due corsi dal 6 maggio

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Non è da tutti concedersi il lusso dello spider-movie: a volte è solo un esercizio di stile epidermico, ma se a metterci le mani (o meglio le zampe) è un filmmaker australiano, c’è un simpatico risvolto in più, essendo notoriamente quella latitudine particolarmente generosa di creature pericolose e/o di autentici mostri a otto zampe giganti (i più grossi, per fortuna, sono però abbastanza innocui). Nel caso di Kiah Roache-Turner – da noi noto per Road of the Dead – il vantaggio non è comunque esibito, sia perché il suo Sting si ambienta a New York, sia perché l’aracnide della situazione proviene dallo spazio e arriva sulla Terra a bordo di un meteorite, come a onorare la gloriosa tradizione anni Cinquanta che nei corpi in caduta e nei presupposti fantascientifici trovava l’humus migliore.

Presentato in chiusura del Bruxelles International Fantastic Film Festival, il film sceglie comunque l’approccio della fiaba, in cui la giovanissima protagonista Charlotte si presenta con tanto di cappucci(ett)o rosso e vive la sua avventura nel pieno di una nevicata da record che fa tanto canto di Natale dickensiano: la famiglia in effetti non è proprio felicissima, con due genitori che si affannano a far quadrare il bilancio famigliare, mentre sono vessati da una zia-Scrooge avarissima e lui, patrigno, vive anche un evidente senso di inferiorità rispetto al padre autentico, che ha abbandonato il desco famigliare, ma è ancora venerato dalla bambina come un eroe.

Nel frattempo, Charlotte fa la donna ragno: letteralmente, perché si arrampica agile nei condotti d’areazione con cui si sposta nel palazzo. E la sua tela sono le griglie dei fumetti che fa disegnare al patrigno e con cui si connette tanto al padre perduto che a quello trovato, almeno finché non arriva appunto l’aracnide a scombussolare i già fragili equilibri. A lui va il nome di Sting, ovvero Pungolo, la spada di Frodo ne Lo Hobbit – un omaggio metafilmico alla Weta che aveva lavorato ai kolossal di Peter Jackson e qui si occupa degli effetti speciali. Ma invece della creatura gentile immaginata da Tolkien, lo Sting a otto zampe inizia a fare come l’Alien prima maniera. D’altra parte si sa, le tele sono vischiose e così Charlotte, la ragazza ragno che si muove fra gli spazi e le relazioni complicate, deve affrontare quella che a tutti gli effetti diventa la sua perfetta nemesi, fra i condotti e per la vita famigliare.

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Corso di REGIA online, dal 7 maggio

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Rispetto a un altro ragnofilm abbastanza recente, il Vermin francese visto alla SiC 2023, Roache-Turner sacrifica l’impeto action per un racconto ironico, a tratti anche grottesco, ma in ogni caso basato su una gestione molto più ragionata dei tempi, quasi a voler mantenere nonostante tutto l’impianto fiabesco dell’assunto. Lavora perciò sulle attese, in modo da rendere Sting una creatura famelica ma dotata di un suo carattere e piglio strategico, mentre permette alla situazione familiare di disvelarsi in modo più compiuto e a Charlotte di avere il proprio sviluppo narrativo. Lei in fondo lamenta le modifiche e le scelte compiute dal padre sui suoi soggetti a fumetti, ma in fondo non sa relazionarsi compiutamente con la realtà, ragiona solo per sé come un perfetto ragno e così la sfida le permetterà di imparare a includere pure gli altri nel suo orizzonte, raggiungendo così una maturità più piena. Il resto lo farà la lotta con il mostro, che non è particolarmente innovativa, ma sa colpire nei momenti giusti. Fino alla fine e alla promessa del prossimo sequel, ovviamente.


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