Sul Vulcano – Incontro con Gianfranco Pannone

gianfranco pannone
Dopo il successo riscosso a Locarno, Gianfranco Pannone presenta nelle sale italiane Sul Vulcano, che racconta la vita ai piedi del Vesuvio attraverso le voci dei suoi abitanti. Il film, distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, arriverà al cinema il 13 novembre

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 Dopo il successo riscosso a Locarno, Gianfranco Pannone presenta nelle sale italiane Sul Vulcano, che racconta la vita ai piedi del Vesuvio attraverso le voci dei suoi abitanti. Il film, distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, arriverà al cinema il 13 novembre.

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Il film che comincia con i nomi di Majakovskij e San Gennaro, senza dimenticare Giordano Bruno. A cosa è dovuta la scelta di questi nomi importanti e perchè ha scelto di raccontare il Vesuvio?

Pannone: Giordano Bruno è nato a Nola, ai piedi del Vesuvio, appartiene a questa terra e rappresenta la vesuvianità filosofica. Io sono nato a Napoli da una famiglia nolana ma sono sempre vissuto nel Lazio. Amo profondamente la mia terra d’origine, ma la guardo da una certa distanza non vivendo lì, quindi volevo mostrare il mio punto di vista. Questo è un luogo anomalo, in cui si vive del fatalismo criminale, che permette di costruire case strisce laviche e fenomeni come la camorra, quindi volevo raccontare questo aspetto di Napoli senza essere retorico. La mia idea era quella di fondere il livello letterario con il cinema del reale, tenendo presente la storia del Vesuvio e quella che hanno forgiato i napoletani. I vesuviani continuano inspiegabilmente ad abitare queste terre anche se in uno spazio tra 10 e 100 anni c'è il rischio che il vulcano possa esplodere nuovamente. Il dramma è che qui ci sono oltre 600.000 abitanti, senza contare Napoli, ed è la zona più densamente popolata d’Europa tra Torre del Greco e Ercolano, ma evidentemente ci sono problemi più pressanti del Vesuvio. Questo film è un viaggio in in un paradiso perduto, che mostra i danni del Vesuvio accanto a quelli più gravi fatti dall'uomo, ma che non ricade nella critica sociale come altri film e rimane sempre su un livello più poetico e evocativo. Napoli è la ferita aperta dell’Italia ma, come diceva Giorgio Bocca, Napoli siamo noi, è lo specchio dell'Italia, non un mondo a parte che isola il male a Scapia, quindi questo è un esperimento con cui prendo le distanze dalla denuncia e dalla rappresentazione degli elementi peggiori per fare qualcosa di diverso.

Prima del festival di Locarno ha fatto una dichiarazione-appello. Di cosa si tratta?

Pannone: Non credo che i film possano cambiare il mondo ma penso che possano fare riflettere. Ho fatto un appello al governatore della Campania Caldoro e al sindaco De Magistris perchè ritengo che la politica non possa restare indifferente verso la situazione del Vesuvio. Non è stata fatta prevenzione e non ci sono misure di sicurezza adeguate. Alla prima napoletana sono stati invitati tutti perchè questo territorio non può fingere che vada tutto bene o adagiarsi sul fatto che i cittadini non rispetterebbero le regole in ogni caso. Lindifferenza è una sconfitta in partenza.

La situazione drammatica è bilanciata dalla bellezza. Come si è svolto il lavoro di ricerca letteraria e musicale?

Pannone: Nei miei film faccio sempre incontrare cultura alta e cultura bassa, perchè anche la cultura popolare definita bassa negli ambienti snob è altrettanto cultura. Anche il neomelodico è la manifestazione di una cultura, così come la devozione religiosa nasce dai bisogni di una terra precaria, e non può essere relegata a un passato che non deve tornare. Sepe e Sparagna recuperano i canti religiosi e dei contadini ad esempio. La tradizione cinematografica italiana unisce da sempre cultura alta e bassa ed è qui che trova la sua ricchezza. Napoli si presta meglio di qualunque altro posto perché qui plebe e aristocrazia hanno convissuto a lungo prima dell'arrivo della borghesia. E queste melodie sono state create proprio per esorcizzare la addolcire la paura di questo popolo e addolcirlo.

Come hai incontrato i testimoni di questa storia Matteo, Maria e Yole?

Pannone: Ho lavorato molto sul territorio, conosciuto gente e scelto le voci che più mi interessavano. Volevo una  rappresentazione visiva della napoletanità diversa dal solito, composta, che non dimentica del lato malinconico dei napoletani, in contrapposizione ai luoghi comuni che descrivono Napoli alternativamente con il dramma o con la commedia della vita. Volevo dare un'idea della vesuvianità diversa dal cliché. 
 

Non ci sono immagini di denuncia, come discariche e inceneritori. Le immagini dell’archivio luce sono drammatiche ma si fondono con la bellezza delle riprese sottolineando la commistione di media e linguaggi diversi. Come ha lavorato sul montaggio?

Pannone: Un grande lavoro è stato fatto con la musica. Volevo fare un lavoro su ciò che non si vede, sulla tragedia che non si vede, perchè è facile riprendere il degrado per invitare lo spettatorea riflettere. Io volevo raccontare di quelle macerie che conservano la magnificenza originaria, recuperare ciò che c’è di magnifico in questo territorio e raccontarlo attraverso  testimoni non provinciali, che si pongono tra cultura alta e bassa.

Queste personalità sono artigiani della pittura, delle terre e del canto. Quindi per uscire dalla sonnolenza ci vuole un surplus di inventiva? Questa è la reazione giusta? Bisogna far esplodere la vitalità prima del vulcano?

Pannone: Napoli è operosa ma disorganizzata. Si lavora molto ma lo si fa male. La mia intenzione è quella di dare a queste persone la dignità che la Gomorra napoletana non riesce a restituire. Non volevo drammatizzare, ma raccontare Napoli con la voce di testimoni che rappresentano una sobrietà che molti non si aspettano e sorprendere.

Se il film indaga un territorio universale, cosa può imparare l’Italia da tutto questo?

Pannone: Se questa terra è stata tanto decantata nei secoli vuol dire che ha molto da dire. Anche il male dopo tutto ha la sua ragion d’essere. Mi auguro che la gente capisca che lì c’è un parco nazionale e delle regole da rispettare, che è una terra in cui continuamente nascono spinte verso il cambiamento ma la storia e la natura sono così pesanti da spegnerle. Credo che l’equlibrio derivi dalla gente e spero di suscitare un maggior senso di responsabilità.

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