#TFF33 – Giorno 7 – Cinema

Moonwalkers (After Hours), The Ecstasy of Wilko Johnson (Questioni di vita e di morte), Pompei, eternal emotion (Onde), Heterophobia (Onde), quattro opere attraversate dal Cinema

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Il TFF 33 è giunto al termine. Tante sono state le emozioni che abbiamo vissuto; una su tutte la visione della pellicola restaurata di Terrore nello spazio, presentata per l’occasione da Refn che ha definito l’opera “un esempio della grandezza di Bava”, accostando il maestro a “Fellini, Visconti e al mucchio selvaggio che ha fatto il cinema”. Ed è proprio da qui che vogliamo partire per iniziare o concludere – dipende dai punti di vista – il nostro viaggio, dal cinema appunto, che in modo diretto o indiretto attraversa l’ultima serie di film.

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Puntiamo il telescopio su Moonwalkers (After Hours) che rilegge in chiave dissacrante lo sbarco sulla luna da parte degli Americani tirando in ballo Kubrick e la teoria complottista della simulazione. Il lungometraggio d’esordio di Antoine Bardou-Jacquet è un trip nei favolosi anni Sessanta di umorismo, sequenze splatter e immagini psichedeliche che vede protagonista la strana coppia formata dal figlio dell’anarchia Ron Perlman e dal potteriano Rupert Grint, rispettivamente un reduce traumatizzato dal Vietnam e un manager squattrinato di una triste rock band. Non potendo disporre del regista statunitense, i due si serviranno di una stramba combriccola di hippies per girare il finto allunaggio. Dietro la storia c’è la penna di Dean Craig che già dal titolo (pensiamo anche a Funeral Party o al più recente A Few Best Men) gioca sugli equivoci e sugli opposti per creare godibili situazioni fuori dall’ordinario che avrebbero però bisogno di un raccordo dall’alto in grado di sostanziare la natura stessa dell’operazione. Il risultato è una commedia leggera, infarcita di citazioni kubrickiane e non, che non riesce a compiere il grande passo verso una grottesca riflessione esistenziale alla Lebowski o verso un anticonformismo stilistico e narrativo alla Snatch – modelli a cui Bardou-Jacquet ha dichiarato di essersi ispirato.

Di morte e rinascita filtrate dalla lente cinematografica di Julien Temple si parla in The Ecstasy of Wilko Johnson, presentato in una nuova sezione curata dall’autore inglese che, dopo Virzì, ha rivestito il ruolo di Guest Director del festival. Nel suo ultimo lavoro Temple riprende idealmente i fili di Oil City Confiden

wilkotial, documentario del 2009 incentrato sulla rock band dei Dr. Feelgood, raccontando l’esperienza personale del chitarrista Wilko Johnson colpito da una grave forma di cancro che sembrava non lasciare speranze. E lo fa sovrapponendo in maniera forse troppo immediata il piano verbale a quello visivo, accostando cioè i pensieri e i temi toccati dal protagonista a suggestive animazioni, divertenti citazioni filmiche-letterarie o a scene vere e proprie tratte dal Settimo sigillo, Scala al paradiso, Il colore del melograno, La bella e la bestia di Cocteau. Ma quest’aspetto passa totalmente in secondo piano se rapportato al messaggio di Johnson che sprigiona una tale energia vitale da far apprezzare il coraggio insolito nell’affrontare e nello sconfiggere la malattia, coraggio alimentato dall’affetto dei suoi fan e da un incrollabile “tumorismo”, come lui stesso lo definisce, che scaccia via qualsiasi ombra di rabbia o di sconforto.

L’essenza della vita e della morte riecheggia anche in Pompei, eternal emotion (Onde), video promozionale direttPOMPEI-ETERNAL-EMOTION_1o da Pappi Corsicato e prodotto per la Regione Campania per valorizzare un bene culturale riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità. La macchina da presa si muove invisibile all’interno dell’area archeologica esplorando i resti di una civiltà sepolta nel passato. Da quel tragico evento il tempo pare essersi fermato: i turisti in visita al sito, immobili nelle loro pose, rispecchiano le vittime della catastrofe i cui corpi ed espressioni sono rimasti cristallizzati nei calchi; eppure, un movimento quasi impercettibile come un battito di ciglia testimonia la presenza di una scintilla di vita che in realtà non si è mai spenta. Corsicato, con il suo linguaggio artistico fortemente coinvolgente e per nulla commerciale, fa del cinema il mezzo ideale per mostrare l’eternità di un luogo sospeso tra l’antica bellezza e l’umano dolore.

Completiamo questa carrellata con Heterophobia dell’argentino Goyo Anchou, presentato sempre in Onde, che mescola cultura alta e popolare, rivendicazioni sociali e riti esoterici, romanticismo e pulsioni sessuali. Mariano è uHeterophobian giovane gay di Buenos Aires che si innamora di un ragazzo etero che lo usa solo per sfogare le sue voglie. Amareggiato e tormentato, intraprende un percorso di redenzione dantesco che dagli inferi lo condurrà alle porte del paradiso. Si tratta di un film molto sperimentale costruito su pochi dialoghi e su una voce fuori campo che guida lo spettatore nell’estro delirante messo in scena dal regista: immagini sgranate dai colori cangianti, sovrapposizioni, figure mostruose, simboli massonici popolano questa “rapsodia antipatriarcale” che eleva Cabiria e altri classici del muto a sostegno della sua tesi rivoluzionaria. La risposta, come suggerisce la parabola ascendente di Mariano, non si trova in un atto di violenza o di odio nei confronti del “diverso”; Heterophobia è piuttosto un inno alla libertà e all’amore, un’intima ricerca della felicità suggellata dalle note travolgenti di You’re the One That I Want.

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