The Apprentice, di Ali Abbasi

Abbasi applica il filtro catodico al racconto dell’ascesa di Donald Trump a tycoon assoluto di New York, e allo stesso modo indaga il corpo pubblico e privato del potere. CANNES77. Concorso

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Il primo dei riferimenti dell’operazione che Ali Abbasi compie sul racconto dell’ascesa di Donald Trump come re dell’industria immobiliare americana è una delle vette demenziali della piattaforma “Funny or Die” di Adam McKay e Will Ferrell, e cioè The Art of the Deal – The Movie, realizzato nel 2018 da Jeremy Konner con Johnny Depp nel ruolo del tycoon, e con la stessa identica idea di messinscena in simil-videotape sgranato e interlacciato anni ‘80, compresa la colonna sonora di hit disco dell’epoca e i titoli di testa vintage: d’altra parte The Art of the Deal, la discussa biografia/manuale di life coaching scritta insieme a Tony Schwartz e pubblicata per la prima volta nel 1987 è con ogni evidenza il materiale di partenza anche per il film di Abbasi, che ha l’indubbio merito di rifuggire quasi sempre con successo dalla satira facile, dal grottesco ad effetto – se di Adam McKay si deve parlare, allora, non c’è da guardare tanto alle vertigini demenziali del regista come Vice quando alle sue creature più drammatiche come Succession, da cui Abbasi “prende in prestito” uno Jeremy Strong in una performance abissale, questa figura tragica di court jew newyorkese, l’avvocato Roy Cohn (uno dei personaggi più controversi del mondo repubblicano USA di quei decenni).
In un certo senso, The Apprentice è il racconto della relazione d’amore tra Donald Trump e Roy Cohn, la personalità responsabile di aver maggiormente forgiato la filosofia che “Donnie” applicherà passo per passo poi alla sua strategia politica (attaccare sempre, negare fino all’ultimo, non ammettere mai una sconfitta): ecco, Sebastian Stan nel ruolo del futuro presidente USA mantiene la stessa vibrazione del film, e non esagera mai nella macchietta, nella sottolineatura delle caratteristiche che hanno fatto di Trump uno dei personaggi maggiormente parodiati dalla comunicazione contemporanea (le incertezze nella dizione, il linguaggio sgrammaticato, e così via).

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È chiaro che così facendo The Apprentice rischia di appiattire eccessivamente la gittata del pamphlet, soprattutto perché il filtro catodico dell’immagine non permette alcuna profondità, se non quando il riferimento cinefilo si fa un po’ più esplicito (tra Wall Street di Stone, coevo del libro di Trump, e – esageriamo – Il Padrino – Parte II, con Roy Cohn come Hyman Roth) anche se, non a caso, l’unica citazione esplicitata nei dialoghi appartiene ad una serie tv (ovviamente, Miami Vice).
Insomma i riferimenti alle zone oscure del trumpismo politico li dobbiamo cogliere di rimando (qui il focus è soprattutto privato, familiare), l’accusa di molestie di Ivana Trump (Maria Bakalova, anche lei con genuina disperazione negli occhi),  le collusioni con la mafia italiana, i continui ammiccamenti al futuro in politica, l’ossessione per il contagio dell’AIDS che potrebbe quasi anticipare la parabola di Trump come paladino di Qanon, la cospirazione sui bambini rapiti per estrarre l’adenocromo per mantenere l’establishment culturale progressista USA per sempre giovane.

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In quest’ottica, l’apparato di Abbasi sembra decisamente focalizzato innanzitutto sul corpo del potere, come – giusto per restare su di un altro sguardo “straniero” sui potenti occidentali – quello di Pablo Larraín su Jackie o Diana Spencer: il Donald Trump di Sebastian Stan, rovescio e complemento del ruolo dell’attore in Pam & Tommy, è ossessionato dalla dieta, dal trapianto di capelli, dalle disfunzioni sessuali che somatizza chiaramente nella costruzione delle sue altissime torri (“avrei potuto farla anche più lunga delle Twin Towers se avessi voluto!”).
Per quanto più convincente del solito, Ali Abbasi non ci pare però scalfire per davvero il cuore segreto del personaggio – una qualunque puntata del reality televisivo condotto da Trump che porta lo stesso titolo di questo film è probabilmente altrettanto illuminante.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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