The Kid, di Vincent D’Onofrio

Un western che usa il racconto di formazione per smontare il genere dal suo interno e che svuota di senso il confronto tra il Pat Garrett di Ethan Hawke e il Billy The Kid di Dane DeHaan. Su Prime

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Rio non ha ancora quindici anni ma, dopo aver fatto esplodere il proprio presente attraverso quel colpo di pistola che, con un patricidio, si è opposto una volta per tutte all’orrore della violenza domestica, già si trova al cospetto di un bivio esistenziale, dove la scelta della strada imboccare ha tutto il peso e la portata di una dichiarazione d’intenti sul tipo di uomo che nascerà dalla ceneri del ragazzo. “Immagina cosa diventerai una volta che tutto questo sarà finito”, gli dice sua sorella Sara. È questa la domanda a cui Rio deve imparare a rispondere, mentre nella sua fuga si scopre perso nel buio della paura e del senso di colpa.
A quasi dieci anni di distanza dal suo primo lungometraggio, l’horror Don’t Go in the Woods, Vincent D’Onofrio torna dietro la macchina da presa con quello che in apparenza assume la forma di un racconto di formazione. The Kid costruisce le sue fondamenta a partire dalla mitologia del genere western, rivisitando la storia di Pat Garrett e Billy The Kid attraverso gli occhi di un ragazzino intrappolato in un dramma morale. Il senso di colpa per il patricidio, almeno inizialmente, equipara la percezione che Rio ha di sé alla figura del fuorilegge. Una vicinanza sottolineata non solo dal fascino esercitato sul ragazzo da Billy, ma che sembra confermata anche dalla chiara presa di posizione inscritta nella prospettiva di sguardo adottata durante la scena dell’impiccagione di uno degli uomini della banda di Billy. Quando la botola si è già aperta, il volto di Dave Rudabaugh, allo stesso modo di quello del ragazzo, si trova al livello del palco, facendo così coincidere l’asse di sguardo del fuorilegge con quello di Rio.
Il percorso di crescita intrapreso dal protagonista di The Kid – Rio deve scegliere quale guida morale dover seguire – a ben guardare si rivela però niente altro che un falso movimento. La promessa del ragionamento su uno dei topoi del genere, lo scontro tra l’ordine di Pat Garrett e l’anarchia di Billy The Kid, è l’appuntamento che D’Onofrio (anche lo slittamento di senso del titolo parla chiaro a proposito) continua a disattendere. Quello tra Ethan Hawke e Dane DeHaan è uno scontro tra la due possibili e opposti universi qui giocato quasi unicamente sul piano verbale, con Billy in catene per la maggior parte del film, in una negazione dell’azione che scardina, pezzo dopo pezzo, il genere dal suo interno, permettendo così a D’Onofrio di aggirare anche lo spettro del confronto con Peckinpah. Ma in The Kid non si tratta solo dell’azzeramento di un confronto che va scivolando ai margini della storia.
Nel film non viene lasciato nessuno spazio alla tensione epica, che, allo stesso modo del duello finale tra Ethan Hawke e Chris Pratt, nei panni dello spietato zio del ragazzo, non è altro che un movimento continuamente negato. Quella di The Kid è l’America del 1879, quando il mito della frontiera, dichiarato legalmente concluso da lì a solo un decennio, è un paesaggio già estinto, dal destino ormai segnato, come segnata è anche la scelta morale che alla fine abbraccerà il protagonista. E, allora, quello compiuto dal ragazzo è solo un movimento viziato alle sue origini, perché il futuro prossimo di Rio è un’America dove il progresso e l’ordine hanno definitivamente prevalso sull’anarchia. La wilderness è un’immagine che si è già trasformata nel suo simulacro. Ed è proprio su un simulacro, sembra dire D’Onofrio, per la verità vacillando più volte nel tentativo di mantener ferma la sua coerenza, che è stato eretto il mito fondativo della Nazione.

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Titolo originale: id.
Regia: Vincent D’Onofrio
Interpreti: Ethan Hawke, Dane DeHaan, Jake Schur, Leila George, Chris Pratt
Distribuzione: Amazon Prime Video

Durata: 100′
Origine: USA, 2019
Genere: biopic/western

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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