The Legend of Tarzan, di David Yates

Il tentativo del regista David Yates di salvare con The Legend of Tarzan, il suo eroe dalla piatta omologazione da blockbuster è ammirevole ma raggiunge risultati altalenanti.

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Il desiderio del regista David Yates di salvare Tarzan dalla piatta omologazione del blockbuster moderno è senza dubbio ammirevole. Uscito gloriosamente (e faticosamente?) dalla saga di Harry Potter (ma pronto a rientrarci con l’imminente spin-off Animali fantastici e dove trovarli) il regista britannico alle prese con The Legend of Tarzan, la modernizzazione delle avventure del signore delle scimmie, raggiunge risultati altalenanti. Con grande intelligenza il regista, aiutato anche dalla sceneggiatura di Adam Cozard e Craig Brewer, cerca con il suo primo stand-alone, di inserire la storia in un contesto storico credibile, guardando oltre il puro prodotto commerciale e l’ossessione del franchise. Il film sin da subito si presenta come un sequel rispetto al canone tradizionale, con Tarzan e sua moglie Jane costretti ad abbandonare gli agi della loro tenuta inglese per tornare in Congo. La missione è salvare la loro terra dalle avide mani del re belga Leopoldo e del suo uomo di fiducia, Leo Rom, pronto a creare un impero basato sulla schiavitù degli indigeni e sull’estrazione intensiva di diamanti.

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Non bisogna essere appassionati di velleità storiografiche per trovare interessante il tentativo di rendere il personaggio di Tarzan (o Sir John Clayton III) verosimile in una realtà con riferimenti storici e geopolitici concreti e solidi. Un universo narrativo dove i libri di Burroghs e le altre opere sull’uomo scimmia non sono fiction o romanzi d’appendice ma resoconti giornalistici e autobiografie, rendendo Tarzan una vera celebrità globale (e per questo “deriso” più volte dagli altri protagonisti). E’ da questo status d’icona vivente che parte la riflessione del Tarzan strumento nelle mani di due anime diverse dell’Occidente, una belva addomesticata usata, in modi opposti, per le cause “civilizzanti” dei colonialisti spietati (il Rom di Christoph Waltz, ormai abbonati al ruolo dell’eccentrico villain europeo) o dei progressisti più sensibili alle cause dei poveri (il reduce pentito della guerra civile di Samuel L. Jackson).

Alexander Skarsgård, Margot Robbie The Legend of TarzanE’ proprio dalla lucida consapevolezza del suo ruolo di marionetta che il Tarzan dolente di Alexander Skarsgård ostenta la sua fragile umanità. Schiacciato dai sensi di colpa per il tradimento verso la propria terra, per aver irrimediabilmente venduto l’anima alla modernità, per aver preferito seguire le orme dei genitori biologici piuttosto che quelle della sua famiglia “animale”, John trova la sua unica ragione nella necessità di proteggere l’amata Jane, l’ultimo legame con il mondo che lo circonda. La sua ultima, stanca, avventura diventa cosi la metafora di una terra ormai in balia dei desideri e capricci di un’Europa ingorda, disposta a perdere anche un’effimera battaglia (Tarzan che sconfigge i crudeli belgi) perché già conscia di aver vinto la guerra. Il discorso ideologico della storia, purtroppo, è mortificato dalla volontà (dei produttori) di spingere il film, a forza, dentro i confini, del classico blockbuster contemporaneo. The Legend of Tarzan si ritrova cosi a muoversi tra una CGI sciatta e a banali siparietti comici che non fanno altro che affossare il lavoro del regista.  

Titolo originale: id.
Regia: David Yates
Interpreti: Alexander Skarsgård, Margot Robbie, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz,Ella Purnell, Djimon Hounsou
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 110′
Origine: Usa 2016

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