The Moon, di Kim Yong-hwa

La Corea si pensa in grande in un’avventura spaziale che guarda in faccia i modelli statunitensi con la consapevolezza del dramma geopolitico. Dal Brussels International Fantastic Film Festival 2024

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Tra Gravity, Apollo 13 e il Sopravvissuto di Ridley Scott si apre un sentiero narrativo che il sudcoreano Kim Yong-hwa intraprende con la decisione di chi ha capito come il racconto spaziale può essere anche un’efficace metafora del pensarsi patriotticamente sullo scacchiere internazionale. Lo facevano già in Giappone nei “caldi” anni Sessanta della corsa alle stelle, d’altra parte, quando L’invasione degli astromostri vedeva un eroe locale e un pilota a stelle strisce affiancati in missioni oltre i confini conosciuti e quindi, perché ora non immaginare che il secondo paese a camminare sulla Luna sia proprio la penisola asiatica? Detto e fatto con questo The Moon, presentato in questi giorni al Bruxelles International Fantastic Film Festival, contestualmente all’uscita italiana in DVD per Blue Swan.

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L’aspetto peculiare della prospettiva scelta è il contrasto fra una missione di portata nazionale (e mondiale) e la difficoltà del compito che ricade sulle spalle dei reietti: prima fra tutte la KASC, il corrispettivo coreano della NASA, estromessa dal circuito internazionale delle agenzie spaziali dopo che la prima missione sulla Luna si era risolta in un completo disastro, con l’esplosione del razzo e la morte dell’intero equipaggio. Nondimeno la piccola nazione si è rimboccata le maniche e con le sue sole forze ha messo in piedi un altro viaggio, in cui spicca, ancora una volta, l’elemento fuori posto, ovvero il novellino Hwang Sun-woo, scelto come pilota del modulo di comando dopo una formazione da Seal e guardato perciò con una certa spocchia dai compagni più esperti. E poi c’è Kim Jae-guk – il veterano Sol Kyang-gu che ricordiamo in Oasis di Lee Chang-dong – il direttore dalla base KASC, che aveva guidato la precedente missione, per poi dimettersi sull’onta del fallimento e che ora è costretto a rientrare per dare una mano.

Già perché un incidente non previsto fa uscire di scena i compagni e costringe Hwang ad allunare da solo: e non basta! Subito dopo, una pioggia di meteoriti colpisce il satellite rendendo tutta la situazione molto critica per il giovane pilota. Sulla Terra, intanto, va in scena il gioco delle parti, con la NASA che, vistasi battuta sul campo dalla nazione in cui nessuno aveva creduto, da un lato nicchia, dall’altra cela le informazioni che potrebbero fornire sollievo agli asiatici in un momento tanto critico.

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Per raccontare questo coacervo di posizioni, a metà fra il disaster movie spaziale alla Armageddon e il dramma geopolitico, il regista Kim Yong-hwa adotta lo stesso piglio muscolare con cui il cinese The Captain, di Andrew Lau (passato al Far East 2020) narrava la sopravvivenza a un disastro aereo: il che implica grande enfasi patriottica e non priva di retorica sulla resilienza di una nazione e dei suoi uomini, che unendo ingegno e una piccola dose di naiveté riescono a far fronte a ogni imprevisto.

La consapevolezza del racconto che si guarda mentre osserva quanto accade lassù, è evidente nel tono metanarrativo che scompone la vicenda in numerose sottotrame umane, mentre occhieggia al ruolo dei social media e della propaganda nella riuscita della missione. Perché il dramma del singolo diventi monito all’umanità tutta e redarguisca chi pensa ai particolarismi, in una visione tutta coreana dell’oltrepassare i confini (loro che in effetti, quello più grande da sempre lo sopportano in casa).

Tutto come da codice del perfetto space-movie “realista”, insomma, come quelli citati in apertura, che però Kim piega alla bisogna: all’ostentato perfezionismo tecnico dei modelli americani, che hanno sbandierato sempre consulenze di pregio e rispetto delle dinamiche nel vuoto cosmico, il film preferisce invece un approccio più “umorale” e immersivo. Nello spazio dei coreani, pertanto, c’è rumore, i corpi sono sbalzati con pesantezza, mentre gli effetti speciali sono di eccellente livello: tutto l’artificio è indirizzato a massimizzare il risultato spettacolare e a esaltare l’eroismo di una nazione capace di unirsi superando le difficoltà. E il risultato, se si sta al gioco, è senz’altro molto coinvolgente.

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