The reunion, Anna Odell

Il cinema svedese dimostra le sue innate capacità introspettive, complice lo sguardo asimmetrico che fa apprezzare il cinema come diario ragionato della propria coscienza.

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Sarà stato il tintinnare dei bicchieri sollecitati da una posata, oppure l’aria di convention familiare, ma il film di Anna Odell, fa tornare alla mente il bel Festen che alcuni (tanti) anni addietro ci ha fatto scoprire l’ex dogma, Thomas Vinterberg. Ma sarebbe troppo banale affidare a questa insignificante piccola coincidenza il tratto di continuità che accomuna il film della giovane Odell a quello del regista danese il cui curriculum è ormai consolidato e ricco. Certo i due film hanno qualcosa in comune, ma sono i tratti di quel cinema a costituire un comune denominatore. In realtà Anna Odell, nel suo gioco di scambi e di pareti mobili che inserisce nel testo filmico, denuncia una tradizione che sembra solo aggiornarsi di nuovi elementi e che, invece, come ogni tradizione, viene da lontano e si costituisce come tratto culturale ineliminabile, anello successivo di un dna impresso, come la messa in scena nelle immagini.
Il cinema del nord Europa, scandinavo in particolare, porta con se i tratti di una cupa rappresentazione dei rapporti sociali, a partire dalle questioni matrimoniali, già oggetto dell’indagine di Ingmar Bergman per finire dritti dritti dentro al pessimismo kirkgardiano con il cinema di Theodor Dreyer (che era danese, ma conta poco), per continuare con i registi delle nuove generazioni il già citato Vinterberg, Moodysson e non ultimi quelli della generazioni di mezzo come Aki e Mika Kaurismaki che appartengono alla stessa area culturale e geografica. Se poi si allarga lo sguardo alla produzione televisiva da The bridge alla saga paratelevisiva degli uomini che odiano le donne, con alle spalle la trilogia dei thriller omonimi che ha dato la stura per una ipertrofica produzione di neri e gialli nord europei, abbiamo sufficiente materiale per confermare questa visione pessimistica del modo, delle relazioni e quindi, in definitiva, dei destini sociali.
Anna Odell, sembra avere voluto compendiare questa tradizione, depositarla e farla

fruttificare.
The reunion racconta di una rimpatriata di ex compagni di scuola. Sono tutti amici e tutti arrivati con il desiderio di divertirsi. Ma arriva Anna che si chiama Anna Odell e scompiglia i festeggiamenti. Denuncia il proprio rancore nei confronti degli ex compagni di scuola che l’hanno sempre emarginata e rovina la festa a tutti.
Ma nella seconda parte del film ci accorgiamo che la festa è il set di un film che lei stessa sta girando e Anna incontra i suoi veri compagni di scuola, ma le cose non cambiano molto. Il film continua mostrando il marcio dei rapporti che si sviluppano in un perfetto e invidiabile scenario cittadino.
È molto interessante l’approccio dell’autrice del soggetto e regista al mezzo che si appresta ad utilizzare e The reunion, assomiglia da un esperimento che prelude ad una successiva conferma, assume le forme e, riteniamo, possa avere, la stessa forza espressiva di un manifesto con il quale si annuncia il proprio intento artistico, con il quale si mettono in fila le proprie visioni del mondo, i temi della propria arte e anche i padri del proprio presente.
Il film della Odell non ha nulla a che vedere con la bonaria cattiveria di Verdone e del suo Compagni di scuola, anzi il suo intento è quasi opposto. La trama sottile che ne sostiene l’assunto fa trasparire qualcosa di inquietante che resta questione sospesa, inutile sottolinearlo, forse, fino alla fine. Riguarda il modo di procedere del film e forse appartiene anche ad una ibrida sua consistenza che non si definisce, in bilico tra verità e falsità. Un aspetto che resta evidenziato dalla omonimia dei personaggi e degli attori e lo spettatore non sa se si ritrova davanti al vero personaggio o quello nato dalla finzione, ma non sa neppure se quel personaggio, per quanto idealmente reale, esista davvero o meno. È il dialogo tra l’attore e il personaggio, davanti ad una birra, a fare risaltare il gioco un po’ perverso che però funziona e carica di quel filo di inquietante mistero, un film all’apparenza banale o comunque consueto.
Anna Odell ci prende alle spalle, ci sorprende e fingendo di fare una cosa (tema della memoria, il non rimosso ecc…) in effetti ne fa un’altra (riflette sulla terapia che il cinema può avere dentro i fatti personali irrisolti), ma alla fine ci accorgiamo che anche dentro il tradimento c’è un altro tradimento. Anna Odell vuole solo parlare di se stessa e dei suoi rapporti malati con gli ex compagni di scuola e assume su di se la personale responsabilità di questa rischiosa operazione, affidando alla protagonista il proprio volto e il proprio nome, quindi mettendosi in gioco completamente e in effetti, il suo film ci sembra ancora di più un fatto privato al quale ella stessa ha saputo restituire quella componente di universalità che lo fa uscire da ogni ristretta questione privata per farlo diventare patrimonio comune e questione condivisa o comunque condivisibile. In altre parole Anna Odell non si serve del cinema per uno sfogo personale, né per una terapia psicanalitica, ma compie uno sforzo e il suo film è una riflessione più ampia sui rapporti e sulle “gerarchie sociali” come la stessa autrice afferma in una intervista. The reunion nasce da una esperienza personale e la trasposizione cinematografica resta fedele alla versione della sua autrice, messa da parte dai suoi ex compagni di scuola in occasione di una rimpatriata poiché considerata artista polemica e provocatoria.
Il cinema svedese, ancora una volta dimostra le sue innate capacità introspettive, restando uno dei pochi, quando si esprime a questi livelli, a dare vita ad una novità di riflessione, ad uno sguardo asimmetrico che ci permette una visione differente delle cose e che ci fa apprezzare il cinema nella sua versione di diario ragionato della propria coscienza.
Anna Odell, d’altra parte sembra avere ben chiaro in mente il suo percorso e il suo sguardo va dritto all’obiettivo come le lunghe e ansiose carrellate nei corridoi della scuola che ricordano quelle che servivano a scandire il tempo di Gus Van Sant in Elephant o la panoramica finale ripresa da un drone che, dall’alto, ci offre questa topografia cittadina di invidiabile perfezione, coprendo con i suoi giardini puliti e ordinati, le sue strade altrettanto dritte e perfette e le sue case invidiabilmente squadrate, il guasto che ci sta dentro e che il temperamento artistico di Anna Odell e di quelli che sono venuti prima di lei, ha sempre coraggiosamente mostrato al cinema.

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