The Well, di Federico Zampaglione

Il regista ritorna all’horror con un film crudo e violento, dimostrando di aver compreso la migliore lezione di Argento: quella di ritornare a un cinema di bottega, libero e personale. Dal 18 luglio.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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C’è un sopra e un sotto, in The Well. Da una parte le stanze della villa dei Foschi Malvisi, antica magione che richiama alla memoria le vecchie atmosfere gotiche fatte di orrori più suggeriti che veramente mostrati; dall’altra i sotterranei, luogo di torture a atrocità messe in scena senza lasciare mai nulla all’immaginazione. Due mondi separati per due visioni del genere agli antipodi: il gotico classico anni Sessanta contro il torture porn più efferato dei primi anni Duemila, una sorta di passato e presente che si incontrano e che confluiscono un poco alla volta per diventare alla fine un tutt’uno, esattamente come i dettagli inquietanti del dipinto riportati gradualmente alla luce da Lisa, la giovane restauratrice americana chiamata a ripulirlo dopo che un incendio lo aveva totalmente annerito. Un richiamo iniziale a La casa dalle finestre che ridono che più esplicito non si potrebbe, ma che allo stesso tempo rimanda a un intero universo di cinema bis italiano imperniato sul leitmotiv del quadro: L’uccello dalle piume di cristallo e Profondo rosso, naturalmente, ma anche Il medaglione insanguinato, La dama rossa uccide sette volte. Il citazionismo però non ci interessa, e in fin dei conti non interessa molto neppure a Zampaglione, nonostante il suo film sia inevitabilmente disseminato qua e là di indizi che senza dubbio faranno la felicità di chi vuole fermarsi alla superficie delle cose e accontentarsi, per esempio, di un dettaglio degli occhi preso di petto da Fulci o di un’inquadratura scippata da Tenebre.

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Ma cos’è allora The Well? Stavolta il ritorno al genere (dieci anni dopo Tulpa – Perdizioni mortali) non può e non vuole essere “la rinascita dell’horror italiano“, per il semplice motivo che ormai non è più tempo di slogan a effetto, strillati sulle copertine o ripetuti ossessivamente come mantra da chi, bontà sua, continua a crederci (o a fare finta di crederci). E Zampaglione questo lo sa bene, tant’è che pure lui si ritrova costretto a fare i conti con una povertà di mezzi – fatta eccezione per gli straordinari trucchi prostetici e gli ottimi effetti artigianali – che non è certo sintomo di un mercato solido e in salute (e a farne le spese è soprattutto il finale, penalizzato da una resa non all’altezza). Se The Well comincia con Avati, dicevamo, e termina spudoratamente come I vampiri di Freda (vedere per credere), è perché sembra innanzitutto una costante ricerca del desiderio da parte del suo autore, che per tutta la durata insegue senza sosta un ideale di cinema e di bellezza che, forse, esiste soltanto dentro di lui: tanto vale condividerlo, quindi. Una sorta di tempo del sogno (parafrasando il titolo di un recente documentario di Claudio Lattanzi proprio su quel cinema e quell’epoca) nel quale Zampaglione può sentirsi libero di giocare con la memoria propria e dello spettatore, di mettere tanta, troppa carne al fuoco, di esagerare con gli eccessi gore come non si vedeva da tempo, di recuperare quella dimensione antica e folcloristica (l’intera vicenda si svolge nella frazione di Sambuci, in mezzo ai monti Prenestini) che sembrava ormai abbandonata, di inserire un flashback medievale tra capo e collo. Ma soprattutto, e questa è la più grande lezione ereditata da Dario Argento, ancor più dei fantomatici rimandi a Suspiria o a Inferno, di credere nel genere e nelle storie come strumento di condivisione di sé, del proprio vissuto (Claudia Gerini, mater terribilis), del presente e del futuro (la figlia Linda, in un ruolo che ricorda appunto quello che l’Argento tycoon riservava ad Asia in Demoni 2 e La chiesa), riportando in vita l’idea di un cinema di bottega che antepone il sentimento a qualsiasi altra cosa. Senza alzare mai l’asticella delle ambizioni, senza ricorrere a inutili trucchetti da elevated horror (che non esiste). Un piccolo film, certo, che sicuramente non cambierà la percezione generale sullo stato delle cose: ma forse non è casuale che sia ambientato in un passato prossimo (siamo nel 1993) in cui la tecnologia e i social non avevano ancora compromesso la bellezza, la spontaneità delle storie e delle loro dinamiche narrative. E infatti la postilla finale ci ricorda che il sogno, o almeno quel sogno, ormai è finito.

 

Regia: Federico Zampaglione
Interpreti: Lauren LaVera, Claudia Gerini, Linda Zampaglione, Courage Oviawe, Giovanni Lombardo Radice, Gianluigi Calvani, Taylor Zaudtke, Jonathan Dylan King, Yassine Fadel
Distribuzione: Iperuranio Film. In collaborazione con CG Entertainment
Durata: 91′
Origine: Italia 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3.14 (7 voti)
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