"Thor", di Kenneth Branagh
Cineasta troppo frequentemente dilaniato dalle proprie ambizioni barocche e letterarie, il modesto Branagh stavolta ci sorprende con un'opera potente e schizofrenica, più affascinante che riuscita. Quasi una messa in gioco della doppia anima di un cinema che forse solo ora comincia a mettere seriamente in comunicazione la diversità dei "materiali"
Sarà stata la vuota saturazione teatrale e musicale raggiunta nelle tronfie opere del passato, in parte già ammorbidita dal gelo cerebrale di Sleuth (remake comunque assai discutibile del film di Mankiewicz del '71), eppure stavolta, alle prese con le rigide regole hollywoodiane, l'autore inglese dimostra di saper mantenere l'umiltà necessaria per portare a termine il prodotto Marvel senza rinunciare a plasmare il "suo" film fatto di contrasti edipici insanabili, accensioni ipertrofiche sorprendenti (il lungo flashback iniziale con la battaglia contro i demoni di ghiaccio) gag umoristiche eurocentriche – l'America con cui l' "alieno" Thor entra in contatto è oggetto di sarcastici ritratti che lo straniero Branagh non esita a sottolineare immergendo la sezione terrestre nei toni tenui della commedia. In Thor ci sono due film, che senza dubbio fanno fatica a comunicare tra loro. Il montaggio parallelo tra la parte terrestre e quella ambientata ad Asgard spezza narrativamente e visivamente un film in cui Branagh mette continuamente (e coraggiosamente) a repentaglio il suo punto di vista, piegandolo ora alle simmetriche plongée dall'alto verso il basso, ora alle inquadrature sghembe sulla Terra, che cristallizzano la dispersione fisica e percettiva del protagonista. Il bagno d'umiltà dell'eroe è lo stesso del regista che si mette al servizio della mitologia di riferimento riuscendo, soprattutto nella sezione fantasy, a descrivere e a far vivere un'idea di mondo non priva di un suo fascino primordiale e pagano. Cineasta troppo frequentemente dilaniato dalle proprie ambizioni barocche e letterarie, il modesto Branagh stavolta ci sorprende con un'opera potente e schizofrenica, più affascinante che riuscita. Quasi una messa in gioco della doppia anima di un cinema che forse solo ora comincia a mettere seriamente in comunicazione la diversità dei "materiali".
Titolo Originale: id.
Regia: Keneth Branagh
Interpreti: Chris Hemsworth, Tim Hiddleston, Natalie Portman, Anthony Hopkins, Jaimie Alexander, Ray Stevenson, Stellan Skarsgaard
Distribuzione: Universal
Durata: 114'
Origine: USA, 2010
Ha ha ha, il solitamente "modesto" e "tronfio" Branagh ci sorprende positivamente col pupazzone Thor. Sarà sicuramente merito delle simmetriche plongée…
Ma si può anche essere d'accordo col recensore. Mi chiedo però perché anche in questo film tratto dai comics, per poter dare un giudizio positivo, ci si debba turare il naso sulle nefandezze che costellano la pellicola come mine vaganti. Citando a caso. Il duetto demenziale nel furgone tra Thor (che pare uno scolaretto) e la futura fidanzata. La stagista senza un perché. La soldatessa inutile e imbarazzante ne "I fantastici quattro e silver surfer". I tacchi della bonazza di turno in "Transformers 3" resistenti a tutto, ai decepticon, agli incendi, ai salti da 6 metri, ai pavimenti sconnessi e all'invenzione delle scarpe da ginnastica. Possibile che nessuno nell'intera Hollywood sappia scrivere un paio di scene credibili per collocare decentemente la gnocca del produttore?