Tony Scott. Il più veloce del Tempo

Tony Scott
Se n’è andato con la stessa velocità dei suoi film Tony Scott. Il regista inglese ha creduto fino al dogmatismo che l’unico cinema possibile fosse fatto di movimento e velocità. Lo ha fatto spremendo lo stile come pochi altri e raccontando l’uomo con lo sguardo laico di chi è soprattutto innamorato nell’assemblare un’immagine dopo l’altra. E dietro le immagini sbilenche, i travelling aerei, le zoomate e un montaggio rapidissimo, si intravedono i contorni sfumati di un racconto ossessivo sul rapporto uomo-macchina

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Tony ScottSe n’è andato con la stessa velocità dei suoi film Tony Scott. Un balzo dal Vincent Thomas Bridge di San Pedro a Los Angeles, biglietto di sola andata per il 68enne regista di Top Gun e Spy Game, fratello del più celebrato Ridley. Una carriera cinematografica, la sua, iniziata proprio sotto l’ala del fratello maggiore per il quale recita giovanissimo nel cortometraggio Boy and Bicycle nel 1965, per poi realizzare moltissimi spot pubblicitari per la RSA (Ridley Scott Associates). Affascinato dalla pittura e da certi sperimentalismi del cinema d’autore, Tony approda a Hollywood, dopo numerosissime offerte, con il vampire-movie Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1983), pirotecnico techno-horror che mette insieme Bauhaus e Schubert, il videoclip e la letteratura gotica. Il film si rivela un mezzo fiasco al botteghino, ma assurge col tempo ad autentico cultmovie del genere, affermandosi a posteriori come episodio filmico denso  di una stravaganza autoriale forse mai più espressa. L’insuccesso del film porta Scott lontano dal grande schermo per alcuni anni, fino alla rivincita commerciale di Top Gun (id., 1986) che, interpretato da un giovanissimo Tom Cruise, diventa uno dei più grandi successi commerciali degli anni ’80 e lancia la carriera dell’attore americano. Prodotto da Don Simpson e Jerry Bruckheimer, Top Gun inventa il “metodo” Scott, caratterizzato da una attenzione maniacale alla confezione, da un senso dello spettacolo incentrato principalmente su un’immagine satura da un punto di vista visivo e su uno stille ipercinetico, capace di mescolare certo documentarismo spettacolarizzato e pubblicitario con una linearità della narrazione estremamente fedele ai canoni produttivi e ai gusti del pubblico ottantesco. Tale formula viene replicata più volte nella filmografia scottiana, dal thriller The Fan (interpretato da Wesley Snipes e Robert de Niro) al semidimenticato Giorni di tuono (Days of Thunder, 1990), fiammeggiante remake “nascosto” di Top Gun, interpretato dallo stesso Cruise, con le automobili al posto degli aeroplani.

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Top GunFilmografia media ma spesso diseguale quella di Scott, capace di passare da classici indiscutibili – appunto Top Gun, che sta al cinema americano degli anni ’80 come L’Esorcista sta in quello dei ’70 – ad opere minori quali Revenge e Domino. Trattandosi di uno di quei registi che più di ogni altro ha creduto nella riconoscibilità della firma, nella regia come “marchio di fabbrica”, sempre al servizio delle priorità industriali di Hollywood, diventa paradossale come alcuni dei suoi film migliori – o giudicati tali da critica e pubblico – finiscano con l’essere operazioni in cui la paternità tonyscottiana c’entra quasi per caso. Una vita al massimo è un Tarantino (autore dello script) videoclippato, L’ultimo Boyscout deriva – vuoi anche per la presenza di Bruce Willis – dal cinema di John McTiernan , mentre Spy Game e Nemico pubblico recuperano ambizioni settantesche, attingendo al sottogenere del cinema complottistico. Divaricazioni occasionali verso altri autori (appunto Tarantino, McTiernan, Oliver Stone persino) che diventano canovacci drammaturgici su cui applicare il proprio stilismo ipertrofico.

Quello di Tony Scott – a differenza dell’estetica sempre filopubblicitaria ma dilatata e scenograficamente contemplativa di Ridley – è un cinema che ha avuto sfiducia nei confronti dell’immagine fissa, prediligendo una messa in scena incentrata sull’instabilità e sulla frenesia di un montaggio rapidissimo che, per almeno una quindicina d’anni, ha riconfigurato l’estetica hollywoodiana dando per acquisita la fusione tra cinema, televisione, fotografia e marketing. Da questo punto di vista Tony nella sua saturazione stilizzata ha raccontato la (parziale) fine di un certo modo di fare cinema. Il suo Unstoppablepostmodernismo non è mai stato tematico, non poteva esserlo, in quanto necessariamente e inevitabilmente già ontologico.

Dietro le immagini sbilenche, i travelling aerei, le zoomate e una durata media delle inquadrature che da un certo momento ha fatto fatica a superare i 4 secondi, si intravedono i contorni sfumati di un racconto ossessivo sul rapporto uomo-macchina (Top Gun, Giorni di tuono, Allarme rosso, Deja-vu, Pehlam 123, Unstoppable) che vede il suo capolavoro proprio nell’ultimo film uscito in sala. Quel Unstoppable che, ripercorrendo la traiettorie (ferroviarie) di Konchalovskij, può esser letto come manifesto programmatico ed estenuante di una poetica accelerata, dis-umana, vicina a certe dinamiche rappresentative futuriste di inizio Novecento, dove il racconto dell’uomo passava in quello sui nuovi macchinari, per arrivare a celebrare la velocità del mondo. Ecco, il legame col Futurismo e in generale con le avanguardie cinematografiche degli anni Venti è da non sottovalutare nel caos espressivo “organizzato” da Tony Scott. Il regista inglese ha creduto fino al dogmatismo che l’unico cinema possibile fosse fatto di movimento e velocità. Lo ha fatto spremendo lo stile come pochi altri e raccontando l’uomo con lo sguardo laico di chi è soprattutto innamorato nell’assemblare un’immagine dopo l’altra.

Miriam si sveglia a mezzanotte (scena d'apertura)

Giorni di tuono (sequenza Daytona)

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