TORINO 22 – "A Hollywood non interessa più se sei un sovversivo o un allineato, interessa soltanto fare soldi" – Incontro con John Landis.

Si è presentato con la consueta lattina di "diet coke" e la proverbiale "leggerezza" d'animo: comico, eversivo, dissacratorio, politico, dimensioni (con)fuse in una persona sola. In “Slasher”, i presidenti degli Stati Uniti sono come quei piazzisti affabulatori di "valori" di seconda mano.

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Slasher cosa rappresenta?

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Alla festa di compleanno di un mio amico ho conosciuto un tizio che ha cominciato a raccontare storie incredibili di venditori di auto. Io al momento non riuscivo a capire di cosa stesse parlando perché il suo monologo era alquanto vaneggiante. Quando ho capito che anche lui era uno slasher allora ho voluto saperne di più. Ho saputo tutti i retroscena che si nascondono dietro il mercato dell'auto. La prima cosa che ho fatto è stata quella di farmi accompagnare ad una vera svendita dell'auto usata a Sacramento ed è stato in quella occasione che ho deciso di fare un film su questa incredibile "figura". Le svendite sono il trionfo del capitalismo allo stato puro, ed esprimono l'immagine più sensazionale dell'America. Subito ho deciso di mettere in scena, con un taglio documentaristico, lo spettacolo che mi si è presentato davanti agli occhi. Ho conosciuto una quarantina di slasher e poi ho scelto Michael Bennett. Tutto questo è successo due anni fa quando Bush cominciava a "svendere" l'Iraq. Gli slasher vendono auto senza valore come occasioni uniche e il nostro Presidente ha venduto la guerra al Paese mentendo.


 


Come spieghi la vittoria di Bush?


Il film di Gibson, Passion, spiega perfettamente cosa sta succedendo. In questo momento si privilegia uno spirito conservatore che sconfina nell'integralismo. L'America oggi però è spaccata a metà come ai tempi del Vietnam e questo è un buon segno. 


 


Perché hai scelto Memphis?


Per due ragioni. La prima perché volevo ritornare in un luogo a me caro per ovvi motivi. Memphis è il tempio del rock e del blues. La seconda è che purtroppo lo stato del Tennesee rappresenta oggi la bancarotta del Paese. Ho visto realtà a cui ho fatto fatica a credere. Infatti, anche la svendita che ho filmato non è andata benissimo per le condizione di assoluta depressione in cui si trova tutta l'area. La cosa però che più mi ha conquistato è la strana evoluzione che il film ha subito. Dapprima credevo di realizzare un vero parallelo tra lo slasher e Bush ma poi ho scoperto che Bennett era molto più complesso e interessante di chi ci comanda, anche perché incarna una grande fetta della società americana.


 


Qual è il tuo rapporto con Hollywood, oggi?


Io sono nato a Hollywood come regista e anche come fattorino negli anni sessanta. Ho vissuto la morte dello studio system. Paradossalmente ho avuto la fortuna di cominciare a lavorare negli anni settanta quando si cercavano spasmodicamente nuove idee che potessero risollevare le sorti del colosso. In quegli anni di transizione io e altri miei colleghi abbiamo "sfruttato" la situazione di confusione e di impreparazione ai tempi per poter piazzare le nostre idee. Oggi tutte le case di produzioni sono appendici di multinazionali e quindi non c'è più la possibilità di far riferimento al singolo che s'impegna in prima persona. Tutto rientra nelle sinergie del mercato globale. A Hollywood non interessa più se sei un sovversivo o un allineato, interessa soltanto fare soldi. Da sempre c'è spazio per chi non è americano e adesso le porte si sono aperte anche per gli autori dell'Estremo Oriente. Prendete per esempio The Day After Tomorrow che è un film sconvolgente e bellissimo. È stato prodotto da Murdoch.


 


Rimpiangi il passato?


Sono un figlio degli anni '50, e quindi inevitabilmente figlio della TV. The 7th Voyage of Sinbad, di Nathan Juran, è stato il primo film che ho visto al cinema e quando arrivai a casa ho chiesto a mia madre chi fosse precisamente a fare un film. Fu proprio lei a dirmi senza esitare: "Il regista…". In quegli anni era inevitabile che guardassi la televisione; erano anni in cui sul piccolo schermo nascevano strani personaggi, figure incredibilmente comiche e tragiche nello stesso tempo. Sono cresciuto in un periodo molto stimolante. Non rimpiango nulla. Credo che ogni epoca debba proporre quello che può. Non credo neanche che ci sia bisogno effettivo di trovare per forza nuovi codici linguistici. Tutti i linguaggi possono funzionare. Se vuoi fare il regista devi scrivere una sceneggiatura e provare. Lo scrittore è uno dei pochi mestieri che non può campare scuse. Serve solo una penna e della carta.


 


Progetti per il futuro?


Sto preparando un film che dovrei cominciare a girare a gennaio. Il titolo provvisorio è Gone e sarà una storia di fantasmi. Vorrei tanto lavorare con attori non famosi e riuscire a mantenere la storia come l'ho pensata. Sarà dura…


 


 


 


 


      

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