TORINO 25 – "A Thousand Years of Good Prayers", di Wayne Wang (Anteprime)

a thousand years of good prayersI corpi descritti da Wayne Wang in A Thousand Years of Good Prayers, vincitore del Festival di San Sebastian, sono presenze che tracciano sullo schermo la loro separazione, chiuse nell’incapacità di esprimere la loro solitudine, intrappolate nella nostalgia di un calore, di una vicinanza che non è mai esistita e che non sono più capaci di desiderare

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a thousand years of good prayersE’ un momento di straordinaria intensità quello che Wayne Wang apre allo sguardo con A Thousand Years of Good Prayers, tratto dall’omonimo racconto di Yiyun Li e vincitore della Concha d’oro a San Sebastian 2007. L’immagine porta scritto sul suo volto lo spazio fisico della distanza, il corpo di Henry O è una proiezione logorata dall’esistenza e prigioniera della lontananza, che continua a ripercorrere il suo dolore in cerca di un segno di vita e di un luogo dove riposarsi. Lasciando sullo sfondo l'ombra, filtrata attraverso lo sguardo del suo protagonista, di un'America ingenua e piena di contraddizioni, Wayne Wang penetra con una semplicità geometrica, che nella sua precisa simmetria diventa il riflesso spaziale dell’universo interiore dei suoi personaggi, nel viaggio compiuto dalla Cina agli Stati Uniti dall’anziano signor Shi, che decide di ricongiungersi dopo 12 anni con sua figlia Yilan, nella convinzione di doverla aiutare ad affrontare il suo recente divorzio. I corpi di Henry O e di Faye Yu sono presenze che tracciano sullo schermo la loro separazione, chiuse nell’incapacità di esprimere la loro solitudine, intrappolate nella nostalgia di un calore, di una vicinanza che non è mai esistita e che non sono più capaci di desiderare. In una composta immobilità, dove la progressiva distanza fisica diventa lo specchio dell’incapacità emotiva del contatto, Henry O trascorre il tempo ad esplorare l’appartamento di sua figlia nel tentativo di trovare una traccia di vita, di sperimentare attraverso gli oggetti l’universo interiore di Yilan, ma continua ad essere respinto da uno spazio impersonale ed asettico, che non veste i segni di nessuna intimità. E’ più facile mostrare la propria sofferenza confondendola con un sorriso a chi è solo una figura di passaggio e Wayne Wang, nello spazio aperto, lontano dall’appartamento freddo di Yilan, lascia specchiare la solitudine di Henry O nel volto di Madame, un’anziana donna iraniana che Shi incontra nelle sue passeggiate nel parco e con la quale discute senza bisogno di comprendere il significato letterale delle parole pronunciate. I pochi momenti trascorsi con la figlia, scanditi dall’ostinata volontà del vecchio Shi di voler aiutare Yilan ad affrontare il suo divorzio, senza capire che è ormai troppo tardi, senza capire che non è rimasto altro al di fuori di una muta distanza, tracciano la geografia di due esistenze intrappolate nella loro incapacità d’espressione, nella loro incapacità di comprendere l’altro, segnate dalla loro appartenenza culturale, la Cina comunista, che Yilan ha tentato, senza riuscirci, di cancellare. E quando il vecchio Shi apre un finestra sul suo dolore, sua figlia è ormai solo una presenza estranea e sfuggente, che non è più in grado di ascoltare e di esprimere i suoi sentimenti, chiusa nel rancore di un passato che ha steso un’ombra sul suo animo. Anche l’unico attimo in cui padre e figlia si sfiorano, su quella stessa panchina dove Shi sedeva accanto a Madame, è un tempo che non possiedono, il tempo di un addio ancora una volta non pronunciato ed impassibile, dove Yilan rimane prigioniera della sua incapacità di affrontare le emozioni e suo padre continua a nascondere la sua sofferenza dietro un sorriso logoro e stanco.

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