"Tracce di una purezza più profonda" – Speciale Cemento armato

Cemento armato sembra aver in sé un sound dolente e catartico come quello dei Black Hearth Procession, una deriva fatta di sonorità e atmosfere notturne, intime e appassionate, ma anche di solenni echi di mestizia. E poi cos’è Cemento armato se non una malinconica processione di cuori neri, un dipinto encausto in cui si dissolve, poco alla volta, ogni traccia di felicità; proviamo allora a mettere da parte tutto il cinema di genere, ogni tipo di riferimento cinefilo, per sentire che in questa antinomia del giorno e della notte brucia intensamente il corpo e l’anima. TUTTI GLI INTERVENTI SUL FILM

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Talvolta ci si può sentire costretti a peCemento armatorcorrere in un girotondo la vita, come a essere inghiottiti da un movimento circolare inesorabile e terribile. Allora l’unico movimento veramente libero può sembrarci quello in cui tendere al centro della propria segretezza: viaggiare attraverso se stessi, attraverso i sentieri ondulati della propria anima; costruire ponti da cui scrutare il fondo oscuro delle proprie passioni, dei propri sentimenti, dei propri fantasmi, anche se questo richiede un immenso sacrificio, un atto malinconico, di acuta tristezza, che talvolta tiene a distanza il mondo e gli altri rendendoci osservatori isolati. Eppure è solo un’illusione poter sfuggire alla insopportabile ineluttabilità della vita. In fondo non ci sono scorciatoie, qualsiasi scorciatoia è una bugia, una grande bugia, che ci precipita in un abisso di menzogne e di inganni ancora più grande. Ci costringe a un esilio che non appartiene all’autenticità della vita con il rischio di precludersi ogni ritorno a se stessi.

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Cemento armato è un film carico di pathos, fatto di corpi inquieti e agitato dall’oscura necessità di svelare alla vita la sua verità, per quanto terribile essa sia; ancora una storia di predestinazione, di sacrificio nel nome del padre e nel segno del figlio (mentre scrivo non posso non ricordare quel meraviglioso notturno scorsesiano che è stato The departed). Qui i corpi sono gettati in una spirale discendente, in un confronto viscerale con se stessi, in un percorso fatto di rabbia e violenza, crudo e spietato eppure schizzato da momenti di rara fragilità e sensibilità. Ecco allora che Cemento armato scorre davanti agli occhi come un dripping, una, più colature cromatiche, che sembrano gettate lì a caso, prima di scoprirsi dentro quelle tracce di colore, accompagnati da un gesto insistito che non conosce cancellature, che non conosce pentimenti, che non può non rivelare la propria verità (dopotutto la paramnesia è possibile solo in quelle meravigliose dissociazioni lynchiane… ma questa è un’altra storia). Forse non è un caso quel dripping, come in un dipinto di Jackson Pollock, che schizza il frigorifero visibile nello sfasciacarrozze di Pompo (un immenso Ninetto Davoli), lì dove gli eventi sembrano quasi dover ritornare, donandoci un ultimo attimo di stasi, prima di precipitare vertiginosamente, forse perché di fronte all’abisso, l’estrema possibilità di Diego diventa l’origine della realtà dell’esistere in un inconcepibile giungere a se stesso (una realtà compresa solo in quella improvvisa rivelazione finale).

Ma ancora, Cemento armato sembra aver in sé un sound dolente e catartico come quello dei Black Hearth Procession, una deriva fatta di sonorità e atmosfere notturne, intime e appassionate, ma anche di solenni echi di mestizia. E poi cos’è Cemento armato se non una malinconica processione di cuori neri, un colorito encausto in cui si dissolve, poco alla volta, ogni traccia di felicità; proviamo allora a mettere da parte tutto il cinema di genere, ogni tipo di riferimento cinefilo, per sentire che in questa antinomia del giorno e della notte (sia chiaro metaforicamente) brucia intensamente il corpo e l’anima. Se proprio si vuole, è da questo cuore di tenebra, da questa passione per la notte, che bisogna risalire, ripercorrendo a ritroso la spirale, lentamente, faticosamente; consapevole che immergersi dentro se stessi può essere un’esperienza davvero dolorosa.

Ma ancora, Cemento armato è un film che ha in sé un afflato esistenzialista davvero deflagrante. Così alla fine c’è il naufragio, di cui parlava Jaspers, quel naufragio che permette di aprirsi all’esistenza autentica dell’essere; la cifra di esso si “manifesta nell’amor fati; ma sarebbe un falso fatalismo quello di chi si arrendesse prima del tempo, precludendosi così la possibilità di giungere al naufragio”. Detto altrimenti “solo se l’uomo realizza il proprio essere, il naufragio riflette l’essere”. Cos’altro fa Diego nel suo percorso di riappropriazione della verità, e quindi dell’autenticità della sua esistenza? Non male per un film di genere. Ecco perché questo film (italiano…) ci sembra contenere tracce di una purezza più profonda.

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