VENEZIA 62 – "Asì", di Jesùs-Mario Lozano (Settimana della Critica)

Trentadue secondi per ogni inquadratura, per raccontare con brevi piani sequenza la stessa ora, le 11.32 di ogni sera, del giovane Ivan. Una scommessa linguistica, un film da maneggiare con cura per non romperne i fragili equilibri tra narrazione e immaginazione.

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Una storia si può raccontare in mille modi diversi. Nel suo primo lungometraggio il messicano Jesùs-Mario Lozano fa di questa affermazione il suo personale undicesimo comandamento. Vediamo sullo schermo brevi inquadrature di pochi secondi della camera del giovane Ivan, sempre la stessa ora: le 11.32, lo osserviamo mentre incontra  l'amico non vedente Roel, la coppia di attori di cui diventerà assistente e amante in un torbido triangolo sessuale, prendersi cura delle sue tartarughe, sfogliare libri d'arte. Trentadue secondi potrebbero sembrare un'eternità, lo ripete lo stesso Ivan, un tempo lungo in cui concentrare il nostro sguardo in maniera così intensa da rimanere impressionati per sempre, come una vecchia pellicola. Lozano opera una scelta originale, lontana dal cinema contemporaneo messicano, vedi Arriaga  o Inarritu, preferisce concentrarsi su una storia rarefatta, disegnare un personaggio introverso dai tratti decadenti, sperimentare un cinema decisamente controcorrente. Lo fa decostruendo la linearità della sceneggiatura in piccole sequenze in interno, intervallate da pochi secondi di nero, ed esterni girati dallo stesso Ivan con una videocamera. Due realtà, due mondi, in mezzo il nero, come a voler distinguere, ad aprire un ulteriore porta: tra la vita rinchiusa nelle quattro mura domestiche e il mondo esterno ripreso da un terzo occhio. Sarebbe facile cadere nel meccanismo puramente concettuale, ma Lozano riesce a sterzare nel momento giusto, ad evitare il puzzle intellettuale fine a se stesso e a concentrare l'attenzione sulle paure e gli spaesamenti del ragazzo. Il regista lavora per sottrazione. Elimina ogni tipo di superficialità estetica al rapporto tra tempo e visione. Le sicurezze di Ivan si fondano sulla registrazione delle immagini, fissare una realtà sfuggente e magmatica, per radicarla nella memoria, per sentire che ciò che ruota attorno alla propria vita non è così inafferrabile. L'operazione convince, ma lascia qualche dubbio l'insistenza voyeuristica nel rapporto etero e omo che Ivan istaura con la coppia di attori. Un gioco erotico che sembra appesantire eccessivamente il limbo esistenziale del protagonista.

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