VENEZIA 63 – "Sur la trace d'Igor Rizzi", di Noel Mitrani (Settimana della Critica)

Noel Mitrani sembra fare un film con le parti scartate di un altro, che non vedremo mai – con tutti quei momenti rimasti fuori da un'altra storia, perchè di solito dimenticati dal cinema: i tempi morti, le tracce che restano al passaggio di queste storie, di queste vite, di questi uomini e dei segni che rimangono delle loro esistenze sulla terra

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A lasciare tracce nella neve bianca e onnipresente dell'inverno di Montreal non c'è solo l'Igor Rizzi del titolo – anzi, le sue sono proprio le tracce che il film segue di meno. Non sapremo mai perchè il protagonista Thomas deve ucciderlo, dopo aver accettato l'incarico e il lauto compenso da un losco figuro: non sapremo nemmeno chi sia questo losco figuro, oppure quella sorta di amico con cui Thomas ogni tanto si incontra. E chi è la donna che entra a morire una sera a casa del protagonista? Cosa vuole il sedicente poliziotto che da quel momento inizia a perseguitare Thomas chiedendogli della donna morta? Noel Mitrani sembra fare con Sur la trace d'Igor Rizzi un film con le parti scartate di un altro, che non vedremo mai – con tutti quei momenti che sono rimasti fuori da un'altra storia, perchè di solito dimenticati dal cinema: i tempi morti. La quotidianità di un uomo solo che sbarca il lunario con piccoli e grandi crimini. In realtà un film, una storia da raccontare ci sarebbe – ma è nella memoria del protagonista: e così, mentre lo guardiamo fare footing al mattino, esercitarsi col fucile per l'esecuzione, entrare furtivamente di notte in una casa per svaligiarla, una voce off direttamente dai ricordi di Thomas ci racconta fuoricampo della sua incredibile ascesa nel mondo del calcio professionistico, della sua altrettanto inarrestabile e rovinosa caduta, della perdita di tutti i suoi soldi e di tutto il suo piccolo impero, e soprattutto della struggente storia d'amore finita male tra lui e Mélanie, di cui Thomas è ancora innamorato – a questo punto, la rigorosità della struttura antinarrativa di Mitrani si lascia andare ad un'unica concessione per lo spettatore (o per il suo protagonista?): un ricordo, un frammento del film perduto, di cui per tutto il tempo dell'opera stiamo guardando i momenti sbagliati, quelli meno interessanti, come se Mitrani abbia volutamente acceso e puntato le telecamere sulla patetica vita del povero Thomas spietatamente, e con lucida crudeltà, in ritardo: una piccola scena, un piccolo toccante scambio di battute tra il protagonista e la sua donna, inserito in piccoli flash all'interno del film, che ritornano, mutano, si completano tra di loro: unica traccia di una vicenda da raccontare – meglio: già raccontata. Possiamo intuire parti anche di una seconda storia, in cui Thomas si ritrova suo malgrado invischiato, questo sì un noir grottescosurreale alla CoenBros (musica country in soundtrack, Tim Buckley e Hammylou Harris), una scia di morte a seguire la lotta tra personaggi nell'ombra per riavere un bracciale che sembra di vitale importanza. Anche qui, la struttura annichilente e parecchio frustrante di Noel Mitrani ci consente di vedere solo le tracce che restano al passaggio di queste storie, di queste vite, di questi uomini e dei segni che rimangono delle loro esistenze sulla terra/sulla Terra: una sequela di cadaveri, visti morire, già morti, o solo annunciati, sognati, raccontati. Nella mancanza di spiegazioni, di chiarimenti sul racconto, nello scarto incolmabile tra immagine e sonoro, c'è tutto il tentativo di Mitrani autoreregistaproduttore di dare, restituire, una dignità ai film-retta possibili che partono e si incrociano col punto fisso dell'ora e mezza che ci è dato vedere.

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