VENEZIA 66 – "Insolacao", di Felipe Hirsch e Daniela Thomas (Orizzonti)
Per quanto formalmente ineccepibile, si ha la sensazione di trovarci di fronte a due autori intelligenti ma più innamorati di un'idea di cinema che dei sentimenti dei loro personaggi
Storie di amori negati e dell'utopia di una felicità che sembra a sua volta negarsi alla giovinezza stessa. Lo dice più volte l'anziano poeta Andrei (interpretato da Paulo Josè, attore storico del cinema brasiliano), che già all'inizio del film vediamo parlare alla macchina da presa come fosse un teatrante demiurgo che sta per raccontarci delle storie. Ed è infatti proprio lui il personaggio a fare da filo conduttore (parziale) delle vicende raccontate in questo film brasiliano, liberamente ispirato a quattro storie del XIX secolo. Non un affresco corale di tante storie che si intersecano, ma più una sorta di poema universale sul dolore e sulla mancanza di amore sullo sfondo di una Brasilia assolata e abbandonata, che sembra ripercorrere nostalgicamente l'utopia verso un modernismo sconfitto.
Per quanto formalmente ineccepibile il film di Felipe Hirsch e Daniela Thomas non emoziona. Sono rari infatti i momenti in cui Insolacao riesce a comunicare il disagio esistenziale dei suoi protagonisti, relegati spesso al ruolo di burattini di un esistenzialismo troppo scritto per riuscire a renderci partecipi di un mood che sia in grado di contagiarci. Si ha la sensazione di trovarci di fronte a due autori intelligenti ma più innamorati di un'idea di cinema che dei sentimenti dei loro personaggi.