VENEZIA 69 – "Mi sono avvicinato a questo racconto con l'atteggiamento del documentarista" – Incontro con Salvatore Mereu

salvatore mereu durante la lavorazione di bellas mariposas
Il regista sardo, che proprio a Venezia ha vinto la Settimana della Critica con Ballo a tre passi nel 2003, ritorna al Lido con Bellas Mariposas presentato nella sezione Orizzonti. Nel corso dell'incontro parla del rapporto con l'omonimo romanzo postumo di Sergio Atzeni da cui la pellicola è tratta e sul lavoro nelle scuole, raccontando anche della sua esperienza come insegnante

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salvatore mereu durante la lavorazione di bellas mariposasIl regista sardo Salvatore Mereu, che proprio a Venezia ha vinto nel 2003 la "Settimana della Critica" con Ballo a tre passi, torna al Festival di Venezia per Bellas Mariposas, presentato nella sezione Orizzonti.
 

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Come ha affrontato la trasposizione? Nel racconto originale di Atzeni c'erano poi riferimenti alla voce fuori-campo e al mockumentary?

Partire da un testo è un grande vantaggio per certi versi e un'insidia per altri. La parola scritta non sempre ubbidisce alla narrazione cinematografica pur essendo fedeli al testo. La voce narrante, lo sguardo in maccgina c'erano già nel racconto e non ci potevo assolutamente rinunciare. Però il testo si presenta come un'operazione ardita, non usa la punteggiatura e il dialogo per esempio, quasi una sorta di letteratura sperimentale. La scommessa era ardua perché la trama del racconto di Atzeni era esile ma anche lieve e per me corrisponde a quella leggerezza di cui parlava Italo Calvino

Mi sono avvicinato a questo racconto con l'atteggiamento del documentarista. Poi non appartengo a quell'aria geografica pur essendo a 150 Km di distanza da me. Sono due mondi distanti che per molto tempo non si sono neanche parlati. Qualcuno ha detto che Cagliari, per noi sardi dell'interno, è il confine dal resto del mondo. Ed è così che mi sono occupato a lavorare a Cagliari dopo aver girato prima in altre parti della Sardegna. Gli attori li ho trovati andando nelle scuole. In alcuni casi insegnandoci.


Può soffermarsi di più dell'esperienza nelle scuole?

Siccome il cinema non mi ha mai garantito da vivere, io ho sempre insegnato. Un anno l'ho fatto in due scuole medie della periferia di Cagliari dove ho insegnato educazione all'immagine e abbiamo poi fatto quell'esperienza portata 2 anni fa a Venezia, Tajabone. Abbiamo provato il testo come in una recita scolastica e poi abbiamo trovato la misura in cui affrontarlo. Le due interpreti hanno lavorato in progressione ed è stato girato in modo cronologico. E il lavoro che ho fatto con le due attrici è simile a quello con gli alunni.


Finzione, documentario o film-diario?

La doppia dimensione di realtà e sogno c'era già nel racconto e non l'abbiamo potuta assecondare fino in fondo. E ciò si vede soprattutto nel finale dove ci servivano altri mezzi produttivi per concederci l'affondo. Il lavoro sul casting è stato fondamentale perché abbiamo trovato dei visi con cui potevamo far credere qualsiasi cosa. Non so se abbiamo portato a casa il risultato, ma la sfida che poneva il racconto era proprio quella.

 

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