VENEZIA 69 – “Tai Chi 0”, di Stephen Fung (Fuori concorso)

Tai chi 0Nell’ottica sempre più affrancata da qualsiasi verità storica, il cinema di Hong Kong ci offre uno spettacolo impareggiabile e Tai Chi 0 ne è ennesima conferma. Effetti visivi sbalorditivi e corpi che diventano materia plasmata nelle mani dei suoi registi e il giovane Stephen Fung si iscrive di diritto alla categoria. Un cinema che gioca con i personaggi e perfino con i propri miti, anche questo film è esplicitamente diretto ad un pubblico giovanile, ma incanta e diverte anche gli adulti. Ma, in attesa del sequel, pare impossibile aggiungere altro.

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Tai chi 0Attraverso un HD tirato a lucido il cinema di Hong Kong, grazie ad uno dei suoi multivalenti figli, confeziona un ennesimo film diretto, con esplicita intenzione, ad un pubblico giovanile, un pubblico che abbia voglia di farsi risucchiare dentro le mirabolanti avventure Yang Luchan. Eroe quasi suo malgrado, straordinariamente dotato per le arti marziali, tanto da essere fisicamente segnato, coltiva il desiderio di imparare l’arte del tai chi presso il villaggio Chen dove si racconta di uno straordinario maestro e dove tutti conoscono e praticano la disciplina. L’arrivo della modernità e una complicata storia d’amore contribuiranno a non rendere semplice la vita di Luchan.

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Indubbiamente Fung gioca con la sua storia, con i propri personaggi, con la tecnologia che gli consente capriole visive e contorsioni d’effetti speciali che riesce a dominare con una certa sicurezza. Di certo è che questo cinema è divenuto un grande affresco che ci racconta le possibilità del parco giochi che è diventato, uno straordinario catalogo di sbalorditivi effetti visivi che, pur senza la sottolineatura del 3D, riescono ad impressionare l’occhio e soddisfare il desiderio di spettacolo. D’altra parte questo cinema ormai si è anche affrancato dalla complicata e sfuggente storia medievale della Cina. Sembrava fosse impossibile non prendere spunto da un vero o presunto fatto storico per narrare una storia come questa, in Tai chi 0 l’avvio sembra di quelli classici, ma una decisa sterzata ci fa capire che non siamo dalle parti  di una rievocazione storica, ma da quelle più spettacolari della esibizione di corpi depurati da ogni violenza, da ogni aggressività che giocano con le proprie membra ed esibiscono la loro felina lucidità nella lotta attraverso le arti marziali. Grande spettacolo, grandi scenari, poi c’è l’arrivo della modernità a complicare la vita di Luchan, e quando tutto sembra doversi trasformare là nel paesino arroccato sulle montagne inaccessibili dove tutti gli abitanti, bambini compresi, sembrano essere usciti da un’accademia di tai chi, la benedetta modernità che si manifesta con il grammofono e, classicamente, con la ferrovia, sarà sconfitta con l’astuzia e con il tai chi e Luchan diventerà l’eroe che ha desiderato diventare per imparare e non più per imitare le regole canoniche dell’arte del combattimento. Un’ironica messa in scena che, in verità, non sorprende più dopo le prime avvisaglie, tende a confermare l’idea di cartoon che si è voluto conferire al film che comunque risulta impreziosito anche dalla presenza di alcune figure importanti del cinema asiatico tra i quali Tony Leung.

In realtà non resta molto altro oltre il fascino della spettacolo, il racconto diventa pretesto per inscenare i combattimenti. Il cinema cinese si è fatto strada a colpi di kung fu e di tai chi che forse è la stessa cosa, gli europei ne restiamo affascinati e senza chiedere null’altro godiamoci lo spettacolo.

In attesa del sequel astutamente annunciato in coda al film e nel suo non enigmatico titolo.

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