VENEZIA 70 – "May in the Summer", di Cherien Dabis (Giornate degli Autori)

may in the summer

L’attrice e regista Cherien Dabis di nuovo si avvale dei toni scanzonati della commedia per accogliere via via note introspettive e stemperate riflessioni sociali. Il microcosmo familiare racchiude realtà eterogenee: l’imperialismo statunitense, la minoranza religiosa, l’omosessualità. Ma alle sfumature psicologiche talvolta subentra il cliché

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may in the summerMay è una giovane scrittrice prossima alle nozze con un rassicurante intellettuale musulmano. Prima di sposarsi interrompe la sua vita newyorkese per fare ritorno ad Amman e riunirsi con la famiglia. Ma in casa le dinamiche non sono semplici da gestire: la madre si è convertita al cristianesimo e disapprova il futuro genero musulmano, le due sorelle discutono di continuo a causa di approcci alla vita radicalmente diversi, il padre si è risposato con una donna molto più giovane che sceglie May ? suo malgrado ? come confidente. Circondata dalle crisi altrui, la protagonista si chiede per la prima volta se le proprie scelte siano frutto di reale consapevolezza o piuttosto di inerte tranquillità.

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Regista e protagonista, l’attraente Cherien Dabis si era messa in luce nel 2009 con Amreeka, il suo delicato film d’esordio. Con May in the Summer di nuovo affronta le proprie origini, e lo fa ancora avvalendosi dei toni scanzonati da commedia che via via accolgono note introspettive e stemperate riflessioni sociali. Il dialogo serrato e divertente cede il passo alle confidenze sussurrate; all’accecante sole giordano subentra uno spicchio sorridente di luna, e ogni personaggio si toglie la maschera che ha scelto d’indossare per capire se interpretare sé stesso può renderlo più felice. La questione palestinese fa da sfondo sbiadito a drammi che al confronto diventano spensierati argomenti estivi. Significativa la sequenza sulla spiaggia, che inizia con recriminazioni familiari da commedia brillante e si conclude con il rombo di un aereo che sorvola il mare. Cherien Dabis ridimensiona continuamente i tormenti individuali sfiorando drammi collettivi. Così lo scontro fra due civiltà e il ruolo della donna subordinato a quello dell’uomo fanno da cornice a discussioni sull’amore, sul tradimento, su un matrimonio andato in fumo e rimpianto di nascosto.

 

Esattamente al crocevia fra problemi individuali e collettivi si collocano le discussioni sull’omosessualità. Che prima generano meccanismi da gag, poi riflessioni più approfondite sulla vacuità delle etichette. Un microcosmo familiare che racchiude realtà eterogenee: l’imperialismo statunitense rappresentato dal padre, la minoranza religiosa dalla madre, quella omosessuale dalla sorella. Né i presupposti né le verità cui si approda aggiungono qualcosa di nuovo. Ma il film di Cherien Dabis scorre piacevolmente, strappa qualche risata e si rivela molto convincente nelle conversazioni femminili. Perché è l’universo delle donne che la regista ? non a caso per tre anni anche sceneggiatrice di The L World ? maneggia con più disinvoltura: quel sentirsi alternativamente escluse ed emancipate, grintose e all’affannata ricerca di conferme. Laddove si affrontano le mancanze paterne, invece, si affaccia lo stereotipo, spauracchio da cui anche una commedia tutto sommato attenta alle sfumature dovrebbe prudentemente tenersi alla larga.

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