Volevo che questa fosse una storia tra l’amicizia e l’amore, come accade spesso nello vita. Incontro con Sofia Coppola

Giunta al suo secondo lungometraggio dopo “Il giardino delle vergini suicide”, Sofia Coppola parla di “Lost in Translation”, di Bill Murray, di Tokyo, di paternità e …”La dolce vita”

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Come ha fatto a far lavorare insieme questo cast così brillante e a convincere Murray?

 

Quando scrivevo questo copione avevo già in mente Murray, l’ho cercato via telefono, e-mail…non è stato facile, ma alla fine è riuscito a raggiungerci a Tokyo poco prima dell’inizio delle riprese, così c’è stato il tempo per creare un feeling tra gli attori e la troupe che ci ha permesso di lavorare bene. Come l’ho convinto?…con caviale e champagne!… Sono persone di grande talento che hanno portato sul set la loro esperienza e la loro umanità, che mi sembra sia stata catturata dalla pellicola. 

 

 

Quanto è importante la musica nel suo film e cosa è cambiato in lei dopo Il giardino delle vergini suicide, che era un dramma a tinte abbastanza forti, spingendola a girare una commedia piena di romanticismo?

 

Certamente la musica è importante, una delle parti fondamentali, crea le atmosfere, le sottolinea, aiuta ad entrare nel film. Dopo Il giardino delle vergini suicide volevo fare una storia meno cupa, questa mi piaceva per i suoi personaggi, l’intimità e la varietà delle situazioni che si creano.

 

 

Come è stato lavorare con Murray?

 

Io ho lavorato benissimo con lui. E’ sempre stato bello vederlo lavorare, soprattutto per come si adattava alle location giapponesi, che non erano sempre il massimo. Le sue reazioni alle condizioni non sempre ideali in cui eravamo erano per me un momento di apprendimento.

 

 

Nei suoi film si affronta spesso il tema della paternità, vista spesso in modo contrastato, c’è un motivo particolare e a che esperienze si ispira.?

 

Io non ho esperienza di cosa significa essere genitore, in questi ultimi anni alcuni miei amici sono diventati padri, quindi ho ascoltato un sacco di reazioni, commenti, riflessioni. Inoltre Bill Murray è padre, quindi ha messo molto della sua esperienza nel film.

Il suo è un film molto vario: c’è ironia, dolore, comicità mescolati con molto equilibrio, tanto che il rapporto fra i due protagonisti arriva ad essere una storia idealistica-romantica…come ha fatto a mantenere la giusta compensazione tra le parti…

 

Volevo che questa fosse una storia tra l’amicizia e l’amore, come accade spesso nello vita. Mantenere questa tensione era importantissimo, perché non c’è molto altro nel film e i vari dettagli e le performance hanno fatto si che ciò accadesse.

 

 

Il titolo del film è Lost in Translation che in italiano è diventato L’amore tradotto, ha scelto lei il titolo?

 

E’ stato un suggerimento del distributore italiano, quindi credo sia meglio chiedere a lui.

 

 

Non pensa che sarebbe divertente mettere su DVD il suo commento al film?

 

Non credo che chi comprerà il DVD ha bisogno di un mio commento per divertirsi, c’è già tanto nel film. Anche altre cose potrebbero entrare come extra ma non ne vedo la necessità, l’importante è avere uno staff con momenti divertenti.

 

 

Come mai ha deciso di mettere un pezzo di La dolce vita nel film?

 

Quando ero a Tokyo ho visto questo film con sottotitoli giapponesi alla TV e l’atmosfera della città mi ricordava quella de La dolce vita e soprattutto la sensazione di confusione che dava vedere un film parlato in italiano e la lingua giapponese.

Perché ha scelto Tokyo e non un altro posto “lontano” dall’America, come la Russia?

 

Perché ho vissuto in Giappone per due anni e non in un altro posto, volevo parlare della mia esperienza. Inoltre quando ero a Tokyo ho vissuto la città veramente come si vede nel film; anche per problemi di fuso orario passavo le notti in questi bar, con gli amici che si vedono in Lost in Translation, che sono reali

 

 

E’ un caso che Giovanni Ribisi, che qui interpreta il marito di Scarlett e nel suo primo film era la voce fuori campo, sia in entrambi i suoi film, un feticcio che si porterà ancora?

 

No, non è  un feticcio, credo che sia un grandissimo attore. L’ho utilizzato ne Il giardino delle vergini suicide e mi era piaciuto molto perciò l’ho chiamato anche questa volta e credo che ho fatto bene.

 

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