XXV FESTIVAL DEL CINEMA LATINO AMERICANO TRIESTE – Contrabbando, ristoranti e… reparti speciali

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Un coloratissimo e mal assortito salone di bellezza boliviano, una zona di confine sudamericana con i suoi scalcinati traffici e un’improbabile e surreale televisione privata, un ultramoralista istituto superiore costaricense, un ristorante cileno in cui si dipana una tormentata storia d’amore, le pericolose azioni dei reparti speciali honduregni. Sono alcuni tra gli scenari ammirati nelle decine di film in concorso

 

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Un coloratissimo e mal assortito salone di bellezza boliviano, una zona di confine sudamericana con i suoi scalcinati traffici e un’improbabile e surreale televisione privata, un ultramoralista istituto superiore costaricense, un ristorante cileno in cui si dipana una tormentata storia d’amore, le pericolose azioni dei reparti speciali honduregni. Questi sono soltanto alcuni tra gli scenari ammirati nelle decine di film in concorso (tra sezioni Ufficiale e Contemporanea) finora proiettati al Festival del cinema latino americano di Trieste, giunto ormai nel pieno delle attività e delle iniziative, continuando a proporre sguardi inediti e stimolanti sulla cinematografia latinoamericana.

Allegramente e suggestivamente addobbato con numerosi manifesti del cinema italiano (e i loro affascinanti titoli riadattati e tradotti) provenienti da tutta l’America Latina, il Teatro Miela di Trieste continua dunque a proporre novità interessanti da quegli angoli di mondo, tutte in lizza per la vittoria finale. Prima di gettare uno sguardo sulla sezione Ufficiale a concorso, bisogna sottolineare che molto attiva e ricca di appuntamenti è stata finora la nutritissima sezione “Contemporanea”, con pellicole in concorso e non, che hanno affrontato temi tra i più diversi, regalando agli spettatori un caleidoscopio di atmosfere, emozioni, situazioni. In effetti, la trasversalità e la pluralità (di generi, tematica, tecnica, stilistica e geografica) rappresentano un preziosissimo valore aggiunto, rivelandosi davvero funzionali alla struttura di un festival del cinema. Questa sezione consente insomma allo spettatore di potersi confrontare con numerosi risvolti della realtà socioculturale latinoamericana; ci siamo dunque finora trovati di fronte, tra le altre cose, a madri che improvvisamente ritornano nella vita di figli ormai cresciuti, bambinaie guatemalteche in trasferta in Francia, erotici (al limite del pornografico) interni cileni che a loro modo interagiscono con il delicato tema dell’eutanasia, il triste passato argentino che ritorna nei tetri luoghi di detenzione e tortura, il disagio mentale colto in alcune delle sue sfaccettature (soprattutto grazie all’emozionante “LT 22 Radio la Colifata”, al cui progetto partecipa il cantante Manu Chao, e al documentario brasiliano “Aquì, doido varrido não vai pra debaixo do tapete”, opera prima di un giovane cineasta), un incidente minerario messicano di scottante attualità dopo quanto accaduto in Cile (e purtroppo finito non altrettanto bene a causa della colpevole inerzia dell’impresa proprietaria) e uno fondale cattolico-minerario cubano, il triste fenomeno sociale dei “cartoneros”. “Contemporanea” promette senza dubbio altre chicche e felici sorprese nel prosieguo del Festival. 

Passando ai film della sezione ufficiale a concorso, abbiamo assistito a prove interessanti e convincenti, accanto a tentativi meno riusciti ma comunque meritevoli di attenzione per le tematiche proposte. La pellicola brasiliana Muamba, di Chico Faganello (anche produttore e co-sceneggiatore), ha rappresentato i movimentati scenari di confine, in cui si vive di piccolo contrabbando ed espedienti, nella zona tra Brasile, Argentina e Paraguay, con il centro dell’azione sul “Ponte dell’amicizia”. La resa del film risente in maniera decisiva di una sceneggiatura a tratti troppo nebulosa e traballante, non all’altezza dell’ottima fotografia e della colonna sonora, in cui spicca inaspettata, accompagnando le scene sul ponte, la musica dei nostri Almamegretta; scelta insolita, quella del reggae-dub napoletano, che il regista ci spiega in poche parole, sostenendo di aver utilizzato tali sonorità per suggerire al pubblico brasiliano un’atmosfera di mistero, di suggestione legata alla realtà partenopea percepita in maniera non sempre cristallina oltreoceano, utilizzando abilmente, aggiungiamo noi, il meccanismo socioculturale dello stereotipo.

gestacionGestaciòn è il secondo lungometraggio del regista costaricense Esteban Ramirez ad essere presentato a Trieste: un suo lavoro precedente, infatti, vinse nel 2004 il premio per la miglior regia (si tratta di “Caribe”, suo esordio e unico film centroamericano ad aver conseguito un premio in un Festival del cinema). L’opera presentata in questa edizione ha convinto, considerando la delicatezza e le potenzialità della tematica sociale che ne è alla base (la storia è tratta da un fatto realmente accaduto in Costa Rica) e che, come ha voluto di persona sottolineare il produttore Gabriel Gonzalez in una chiacchierata mattutina con noi (e, in seguito, ha ribadito a tutti i presenti della proiezione serale), è merce rara nella cinematografia del Costa Rica, così povera di produzioni.

Insolito e originale, se non nella struttura del plot almeno nella caratterizzazione dei personaggi e aiutato da una sgargiante fotografia e da un set impostato sul meccanismo della “camera chiusa”, si è rivelato il boliviano Campo de batalla, che inscena un estemporaneo gineceo boliviano ospitato in un dimesso salone di bellezza nella periferia della capitale, in cui vengono a galla i segreti e le doppie o utopistiche vite delle protagoniste, costrette loro malgrado alla temporanea convivenza, mentre sulle strade di La Paz infuria la protesta dei “cocaleros”. La regista, la bella Amancay Tapia, ha anche una parte da protagonista nel film.

Arriva invece dall’Honduras uno dei film più tesi, duri e convincenti visti finora, di forte impatto sulla sala. Unos pocos con valor, per la regia del giovane Douglas Martin (autore anche di soggetto e fotografia), rievoca con apprezzabile taglio paradocumentaristico il recente scenario di sangue che ha caratterizzato le vicende del paese centroamericano nello scorso decennio, a causa delle azioni criminali di una feroce banda di assassini (i sette fratelli Bustillo Padilla).

Atmosfere più soffuse e delicate, seppur non meno impegnative per la sfera emotiva dello spettatore, quelle respirate nella pellicola cilena A un metro de ti, primo lungometraggio di Daniel Henriquez; se la storia d’amore alla base del film non colpisce più di tanto nella sua ordinaria e quasi banale anormalità, l’impatto empatico con l’auditorio è accresciuto dalle ambientazioni metropolitane di Santiago del Cile e dal fatto di cronaca che è alla base della finzione cinematografica: i due protagonisti sono stati infatti i primi bambini a perdersi nella metropolitana di Santiago, negli anni Settanta.

Nella cornice del Festival proseguono anche le iniziative parallele e collaterali, con le proiezioni per le sezioni “Bicentenario” e “Todavìa cantamos”, nonché lo sguardo dedicato al cinema iberico con i cortometraggi della sezione “Salon España”. Da segnalare la splendida esibizione di inaugurazione del presidente di giuria Leon Gieco, il quale, dopo la proiezione del suo commovente e irresistibile documentario “Mundo alas” (sua opera prima e “il più premiato nella storia argentina dell’audiovisivo”), ha mandato in visibilio il numeroso pubblico, sulle note delle sue canzoni. (Dario Di Donfrancesco)

 

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