TORINO 25 – "Brick Lane", di Sarah Gavron (Fuori Concorso)

Un marito immensamente ciccione e un futuro incerto, entrambi senza aver avuto la benché minima possibilità di scelta: benvenuti a Banglatown, Londra, dove la povera Nazneen si domanda perché mai l’infelicità costi sempre così tanto…

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A soli diciassette anni, Nazneen è costretta ad abbandonare il suo villaggio in Bangladesh per trasferirsi nell’East End londinese dove la aspetta un matrimonio combinato con un uomo molto più grande di lei. Ancora parabole dalla periferia più multietnica e proletaria di Londra, ancora parabole femminili e al femminile da un universo difficile e malsano: a portare sullo schermo questa storia di una ragazza alla ricerca del proprio futuro è una giovane regista londinese all’esordio al cinema, Sarah Gavron, che con Brick Lane adatta un romanzo di Monica Alì molto popolare nel Regno Unito. Film ambizioso, non c’è che dire, e zeppo di tematiche socialmente utili, come l’integrazione razziale e l’emancipazione femminile, e forse proprio per questo motivo asfissiato da una gabbia di (buone) intenzioni che dalle pagine del libro vorrebbero trasferirsi sullo schermo. Ecco perché la sensazione che Brick Lane lascia al termine della proiezione è quella di una buona occasione sprecata, di un’idea concepita bene ma non realizzata altrettanto bene, come se nel proprio dipanarsi la storia avesse preteso troppo, finendo col macellare tutte quelle istanze interessanti che stavano alla base di un soggetto come questo. In particolare, è la struttura narrativa a non convincere appieno, probabilmente perché ha sul film lo stesso effetto che avrebbe una corazza piombata addosso ad un canarino: è stretta, artificiosa, troppo ricca e pesante,

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e non riesce a rimanere leggero pur volendo far riflettere. E quell’eccessiva attenzione, quasi ossessione, che l’autrice ha verso il messaggio, o quantomeno a quel messaggio che il suo film vorrebbe veicolare, fa scivolare l’intera opera nel didascalismo più indigesto, di quello che compri al mercato a buon prezzo.

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Peccato davvero, perché in tempi di svastiche incise sui fianchi di diciassettenni intervenute a difendere una bambina evidentemente non appartenente alla razza ariana, un film come questo, dove le tensioni razziali sono sempre dietro l’angolo, forse meritava miglior sorte.

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