VENEZIA 65 – "Broken Lines", di Sallie Aprahamian (Giornate degli Autori)

Come si vede anche dall’apertura forzata e ingiustificata con una delle più celebri poesie di Emily Dickinson, l'esordiente Sallie Aprahamian realizza un film che non manca certo di ambizione ma gronda di retorica e pedanteria, tentando di convincerci che siamo tutti soli.

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Broken LinesA partire dall’apertura forzata e ingiustificata con una delle più celebri poesie di Emily Dickinson (Un sepalo, un petalo e una spina/in un comune mattino d’estate…) – proprio lei, l’umile, la silenziosa che faceva vibrare le parole direttamente sulla carta prima che nella vita! –  per questa opera prima che non manca certo di ambizione faranno a mezzo, in responsabilità, la regista televisiva Sallie Aprahamian, e gli attori britannici Doraly Rosa e Dan Fredenburgh, autori della sceneggiatura e dell’opera teatrale da cui è tratta e interpreti del film. Se la missione dichiarata dal terzetto creativo era di <orchestrare gli spazi tra le parole – i silenzi, il potere dello sguardo e dei gesti in una storia “non detta” >, ogni oggetto, azione, terreno di questo film grida invece vendetta, ridotto a puro arredamento, ornamento da set che non respira né emoziona: dalla retorica grossolana del quartiere multietnico a quella degli oggetti di famiglia che grondano infanzia perduta, si tratta di una successione di giornate che assomigliano a una qualsiasi di chiunque, solo disegnate con il triplo dell’enfasi: non è fango che sporca davvero quello del cimitero che inaugura le vicende del confuso ragazzo ebreo che si è fatto da sé e stenta parecchio a riconoscersi nel ruolo di promesso sposo di una mondana, delicata inglesina; dopo palate di terra e di rabbia e stoffe a coprire gli specchi, nella tradizione del lutto che tende più a proteggere i vivi dai (non) morti che a onorare questi ultimi, costui si imbatte in un bar nell’ennesima “solitudine” complicata quanto la sua, cameriera con a sua volta a carico un compagno (un Paul Bettany ringhiante, meno misurato del solito) un ex pugile, che deve averle prese più forte del solito e non riesce a tornare autosufficiente, né a riamare la sua donna, neppure a toccarla. Se “tutte le scelte sono perdenti”, meglio non scegliere affatto: banalmente, ci penserà la vita a scegliere per noi: posizionando ad esempio il negozio paterno carico di spoglie del passato proprio di fronte all’abitazione della ragazza appena conosciuta; e ovviamente esponendo in piena luce di abat-jour, a tende ben scostate, le frustranti performance negate della coppia infelice agli sguardi del nostro eroe.

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Broken Lines Frattanto tutti i personaggi cercano di resistere, ormeggiati, alla vita, fumando sigarette, rompendo bicchieri, sporcando superfici e terminandosi in pause continue;  lanciandosi, dopo il fatale vicendevole adulterio, gli strali consueti – compreso l’immortale “stai diventando come tua madre/padre” – (sostituire a piacere a seconda del coniuge) – scambiandosi l’invito e il diniego di rito nella farsa del desiderio: non fermarti; fermati; infine culminando in una patetica spirale sessuale che scivola in tragedia, simulazione da Dogma più insincero e meno riuscito, e una rinascita che trasforma cameriere in gipsy con chitarra a tracolla e uomini distrutti in padri amorevoli. C’era davvero bisogno di sentirci ricordare con tanta magniloquenza e pedanteria che siamo capaci di baciare appassionatamente un estraneo per il solo fatto che la sua estraneità ci scagiona e ci protegge, o che spesso dividiamo il letto di casa  (i letti matrimoniali in cui dormiamo soli come cani investiti, come canta qualcuno) con degli intimissimi alieni che trasformano la familiarità in orrore e ci sibilano “smettila di fissarmi” (o diventano il volto del Mistery Man se ci perdiamo nelle strade perdute)?

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