TORINO 29 – Onderod

sleepless nights stories
Onderod è declinato, evento unico ed irripetibile “non riproducibile” dunque come copia. Nella sezione "Onde", la più ribollente, è in atto ancora, proseguendo nel cammino intrapreso (dopo la folgorante impresa di James Benning in Twenty Cigarettes), inclinando il corsivo, la frattura tra il testo scritto e la rappresentazione; la parola è cadavere ed uccide, al tempo stesso, l'essenza stessa dell'immagine (quasi a neutralizzarla), la sua unione con la vita. Due o tre cose su Antoine Barraud e Jonas Mekas…

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sleepless nights storiesOnderod è declinato, evento unico ed irripetibile “non riproducibile” dunque come copia. Nella sezione torinese "Onde", la più ribollente, è in atto ancora, proseguendo nel cammino intrapreso (dopo la folgorante impresa di James Benning e Twenty Cigarettes), inclinando il corsivo, la frattura tra il testo scritto e la rappresentazione; la parola è cadavere ed uccide al tempo stesso l'essenza stessa dell'immagine (quasi a neutralizzarla), la sua unione con la Vita. Allora l'unico modo per ri-affermare e ri-conciliare e la Vita e la frattura, è "la parola prima delle parole", una parola evocativa dunque, originaria che, disincagliata dalle regole linguistiche, emerge nel suo accadere. La parola è soufflée … soffiata, bisbigliata in un prolungamento dello Spirito. La Parola risorge dunque dalle sue stesse ceneri per trasformarsi in irripetibile. Il cinema di Antoine Barraud, in Son of a Gun (corto improvvisamente musical, realizzato con Claire Doyon) e di Jonas Mekas, in Sleepless Nights Stories, non viene configurandosi come separazione. Parola e gesto sono dunque uniti in una scena "non-teologica" ma evocativa. Una scena complessa da rendere visivamente, una scena che sta al limite forse tra teatro e cinema. Immagini che tutto comprendono, oscure come l'animo umano, pesanti di un silenzio contratto nell'istante. Difficile pensare alla notturna “Onde”, portare in scena quell'irrappresentabile che sta nello-sfondo e al-fondo. Forse allora le categorie di spazio e tempo non sono più da intendersi come "ordinatrici". Lo spazio e il tempo si dilatano e si contraggono in uno scenario onirico in cui luci e colori sembrano illanguiditi, in cui ciò che conta è il residuo silenzioso di un pensiero che è sempre un non-pensare-ancora… come un'arrancare faticoso e sofferto tra i labirinti della propria anima che sfiora e soffia il circostante senza mai possederlo pienamente.

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son of a gun
 
New York. Il corpo insanguinato di una ragazza giace inerte su un marciapiede, esposto allo sguardo dei passanti. Nello stesso momento, vicino alle banchine del porto, un uomo ucciso è riverso sull’asfalto. Ci sono molti di questi cadaveri in giro per la città perché un gruppo di persone ha deciso si mettere in scena il proprio assassinio. Antoine Barraud: “Le foto di Weegee, il fotografo americano degli anni Trenta e Quaranta, ci hanno dato l’ispirazione per il film, la voglia di utilizzare il Super8 e New York. Le sue foto delle scene del crimine, agghiaccianti e sconvolgenti, hanno profondamente segnato la loro epoca e creano ancora oggi un effetto terrificante, implacabile. I corpi morti dei banditi, mafiosi, piccoli delinquenti, barboni o vittime di incidenti sono illuminati dalla brutalità del flash che accentua lo spettacolare e il carattere finzionale che ne nasce naturalmente. Il flash diventa un riflettore, i manifesti cinematografici e i marciapiedi di Manhattan diventano la base dei racconti che ci si inventa”. Antoine Barraud, magnifico documentarista e sperimentalista francese, che rincorre Kenneth Anger, fino à bout de souffle, corsa noir e danzante, imprimendo in chiave di violino, i suoi corpi come riverberi di pentagramma. Placa la sua rincorsa, in sala, come spettatore dell'ultima opera di Jonas Mekas, genio underground.
 
sleepless nights stories
Jonas Mekas: “Sleepless Nights Stories nasce dalla mia lettura delle Mille una notte. Sebbene, a differenza delle fiabe arabe, le mie storie siano tutte tratte dalla vita reale, anch’esse, a un certo punto, si inoltrano in territori che vanno ben oltre la quotidiana routine delle nostre vite. Nel film racconto circa venticinque vicende differenti, i cui protagonisti sono tutti miei buoni amici e delle quali io stesso faccio parte. Anche nel caso dei racconti arabi, del resto, il narratore ne è spesso parte integrante. Riconoscerete alcune persone nel film, altre no. Non si tratta però di di un elemento rilevante: tutti in fondo riconosciamo John Wayne o Annette Bening, ma al cinema li identifichiamo come personaggi. I soggetti delle storie narrate coprono una vasta gamma di emozioni, geografie, angosce personali o aneddoti: non si tratta delle vicende importanti che siamo abituati a vedere sul grande schermo, ma sono tutte importanti storie personali… E sì, sono presenti anche alcune provocazioni… Ma quello sono io, uno dei tanti “me”. La stessa domanda su cosa sia una storia è in fondo provocatoria”. "Macchinoso", calato al centro dello spazio da rappresentare, operatore e attore allo stesso tempo, distaccato e, contemporaneamente, coinvolto nella materia trattata. Intorno a lui ruota l'underground universale, lo sperimentalismo di verità/finzione, dentro di lui scorre il cinema arterioso che ha sempre dato a quel cinema venoso che non ha mai restituito. Vorrebbe vivere e lavorare nel suo mondo/cinema "brado" e chiede una casa/laboratorio dove poter ripensare alla verifica (mai) certa del suo sguardo, ad un ordine incondizionato onderod.
 
sleepless nights stories
Far girare il mondo, bieche architetture che girano su se stesse, si sovrappongono, cambiano funzione d’uso, cavano dalla visione l’angolo imperfetto della visionarietà. Ancora una volta (pensando anche ad autori come Ken Jacobs…) è questione di vertigini sensoriali: a seconda che le vertigini siano accompagnate, quindi, dalla sensazione dello spostamento degli oggetti nel campo visivo o che tale fenomeno manchi, esse sono distinte in oggettive e soggettive. Nel primo caso il disturbo è avvertito anche ad occhi chiusi e tende a determinare la caduta a terra. Nel secondo caso l’attacco di vertigini è rappresentato da un penoso senso di instabilità; spesso sono associate a disturbi neurovegetativi più o meno accentuati come la nausea e il vomito. Antoine Barraud e Jonas Mekas non rientrano in nessuno dei due casi perfettamente, ma i loro lampi sono avvertibili anche ad occhi chiusi e la nausea con il vomito si avverte solo se ti poni ancora in terza persona. Performance live, installazione temporanea che frantuma il determinismo biologico, la teoria pavloviana della percezione univoca. Furore sinestetico di Barraud e soggettiva onderod di Mekas esprimono attraverso un mondo assolutamente transitorio, un “expandend cinema”, provare e ancora riprovare…

 

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