Mai così vicini, di Rob Reiner

mai così vicini
Per Mark Andrus, sceneggiatore di due perle come Qualcosa è cambiato e Georgia Rule, il gioco è di quelli facili: l'ombra del Melvin Udall di Jack Nicholson nel film di James L Brooks è subito riconoscibile dietro il disegno dell'Oren di Michael Douglas, cinico cuore indurito. Circola così tanto cinema nell'aria, nella luce, nell'atmosfera che non puoi che restarne puntualmente commosso

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E' vero, Rob Reiner continua a raccontare amori in prima persona, come in Storia di noi due o Il presidente, e in quello stesso istante è come se liberasse il cinema, lo lasciasse andare anche al di là dello schermo, delle maglie della scrittura, degli incroci esistenziali che mette in scena: circola così tanto cinema nell'aria, nella luce, nell'atmosfera, nel pulviscolo delle immagini di Reiner, che non puoi che restarne puntualmente commosso. Da questo punto di vista, Stand by me rimane il suo capolavoro, ma anche il film-enunciato più chiaro: dal racconto autobiografico dello scrittore si animano le storie nelle storie, i sentimenti nei sentimenti – come se i ricordi e i racconti rinnovassero di volta in volta puntualmente la nascita del cinema (La storia fantastica come pure le testimonianze processuali di Codice d'onore).
C'è un'indicazione, un momento, un segnale in questo ultimo film di Reiner, che spiega tutto, e in maniera cristallina: il regista interpreta Artie, il pianista che accompagna le sentite esibizioni canore jazz del personaggio di Diane Keaton, Leah (e già questo è un elemento sopraffino, dichiarare di essere un evidente strumento di accompagnamento per le performance delle star in primo piano…). Artie sta corteggiando Leah, i due si stanno frequentando: ma quando Michael Douglas irrompe nella vita della donna, non c'è ovviamente gara tra i due spasimanti, anche se il personaggio di Douglas, Oren, all'inizio per allontanare Artie mentirà spudoratamente affermando di godere delle grazie di Leah già da tempo. Ma Artie si fa da parte, esce di scena dopo che Oren l'ha preso ripetutamente in giro per il suo parrucchino (ricomparirà soltanto nella breve sequenza nel club di Frankie Valli, sì proprio quello dei Four Seasons): il cinema ha già preso piede, deciso il proprio corso.

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Per Mark Andrus, sceneggiatore di due perle come Qualcosa è cambiato e Georgia Rule, il gioco è di quelli facili, dato che l'ombra del Melvin Udall di Jack Nicholson nel film di James L Brooks è subito riconoscibile dietro il disegno dell'Oren di Michael Douglas, cinico cuore indurito, insopportabile e dispettoso, dalla battuta crudele sempre pronta. Nel dover forzatamente badare da un giorno all'altro alla nipotina Sarah, Oren riscoprirà umanità e tenerezza, aiutato dalla vicina di casa Leah, che sembra saperci fare un po' di più con le bambine di dieci anni, in confronto a quel burbero vecchiaccio.
Michael Douglas affronta così un percorso sullo schermo già segnato da ruoli come quello di Paul Newman (La vita a modo mio), certe commedie agrodolci affidate a mattatori della vecchia guardia come Walter Matthau, Tommy Lee Jones e la sua relazione in terza età con Meryl Streep in Il matrimonio che vorrei di Frankel (compreso il sesso nuovamente goffo come se si fosse tornati adolescenti), magari addirittura l'Eastwood di Gran Torino (nel rapporto con i ragazzini e l'amore/odio verso i figli…).
Se l'ingenuità di alcuni tentativi di aggancio con l'attualità e la concezione di cinema dei giorni nostri fa sorridere (la metafora reiterata del bruco che diventa farfalla passa attraverso un video amatoriale creato con apps per tablet e smartphones…), Diane Keaton illumina lo schermo di un'anima bella e spontanea, a proprio agio davanti alla mdp di Reiner come se davvero si trattasse solo dell'amico con cui fare un paio di pezzi al piano. E il senso di questo cinema è davvero tutto qui.

Titolo originale: And So It Goes
Regia: Rob Reiner
Interpreti: Michael Douglas, Diane Keaton, Sterling Jerins, Frankie Valli
Origine: USA, 2014
Distribuzione: Videa – CDE
Durata: 94'

 

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