CANNES 67 – Cold in July, di Jim Mickle (Quinzaine des réalisateurs)

cold in july

Dal romanzo omonimo di John R. Lansdale, un thriller a tratti leggero, a tratti scomposto. L’abilità del regista è quella di giocare alternativamente sulla composizione e sulla scomposizione di generi e cliché, sul thriller che si tinge di commedia e diventa viaggio rocambolesco. Incoerente e talvolta ripetitivo, sembra scegliere la strada di un cinema che ripensa il noir e lo accende dei colori anni Ottanta di certe notti di provincia.

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cold in julyAdattamento del romanzo omonimo di John R. Lansdale, Cold in July è il quarto lungometraggio del regista Jim Mickle, che ha già firmato tre horror e che ora devia sull’asse di un thriller a tratti leggero, a tratti scomposto. Si racconta la storia di un uomo, che da “eroe” locale (ha ucciso un giovane rapinatore che si era introdotto nottetempo in casa sua), si trasforma in detective e vendicatore, entrando suo malgrado in un mondo di corruzione e di violenza di cui era completamente all’oscuro.

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Siamo in una cittadina del Texas, alla fine degli anni Ottanta, quando, appunto, la vita tranquilla di Richard Dane subisce un brusco cambiamento. Il film, già in concorso al Sundance, si costruisce via via su un mistero che si infittisce, fino a rivelare verità crude e insospettabili.

L’abilità di Mickle è quella di giocare alternativamente sulla composizione e sulla scomposizione di generi e cliché, sul thriller che si tinge di commedia e diventa viaggio rocambolesco, quasi scherzoso, di tre uomini (si recupera Don Johnson nei panni di un poliziotto stravagante e senza regole e Sam Shepard in quelli di un padre vagabondo in cerca del figlio). Per poi incupirsi nel sangue e nella frenesia disordinata della resa dei conti finale.

 

Incoerente e talvolta ripetitivo, Cold in July sembra scegliere la strada di un cinema che ripensa il noir e lo accende dei colori anni Ottanta di certe notti di provincia. Corpi che si inventano in ogni scena, luoghi ugualmente imprevisti, per risvolti così artificiosi da alimentare il puro piacere del revival. La tradizione si misura con il rovesciamento di se stessa, la maniera è in agguato nello stesso uso dei corpi, negli eccessi delle caratterizzazioni, negli stratagemmi narrativi che non lasciano spazio e si svuotano presto di ogni possibile emozione.

 

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