La dolce vita, di Federico Fellini

Vita-Cinema-Vita in un circolo vizioso sulle note circensi di Nino Rota: dopo La dolce vita niente sarà più lo stesso. Mercoledì 18 novembre, ore 11.40, Iris

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“Che cosa è la luce per il cinema? Se il cinema è immagine, la luce è evidentemente il fattore essenziale. Nel cinema la luce è idea, sentimento, colore, profondità, atmosfera, stile, racconto, espressione poetica. La luce è il potere magico che aggiunge, cancella, attenua, arricchisce sfuma, esalta, allude, sottolinea, rende credibile e accettabile il fantastico o, al contrario, crea trasparenze per cui la realtà più grigia e quotidiana diventa onirica, fiabesca.” Federico Fellini

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Un film che fotografa perfettamente il proprio tempo e contemporaneamente modifica la realtà che si modella secondo l’esempio cinematografico. Vita-Cinema-Vita in un circolo vizioso sulle note circensi di Nino Rota: dopo La dolce vita niente sarà più lo stesso. Fellini comprime in quasi tre ore una successione di eventi non necessariamente legati da un filo narrativo; supera il Neorealismo e propone un dato oggettivo deformato dalla propria percezione d’artista. L’empatia felliniana deriva dalla commistione tra il mondo dello spettacolo che invade il quotidiano e il quotidiano che tende a organizzarsi e ad essere percepito come spettacolo.

anita ekberg in la dolce vitaAffresco, pellicola picassiana, opera mondo, film rotocalco, dolce vuoto, non si contano le definizioni della critica del tempo direttamente proporzionali al grande scandalo negli ambienti ecclesiastici e conservatori (“la sconcia vita!” tuonerà Oscar Luigi Scalfaro sull’Osservatore Romano per non parlare degli sputi alla prima al Cinema Splendor a Milano). Fellini scompone e ricompone la Moderna Commedia come in un quadro cubista: da immagine movimento a immagine tempo con il protagonista che diventa spettatore errante di una totalità di avvenimenti di cui non comprende il senso, costantemente alla ricerca di una visione dalla quale a sua volta è inseguito. Anita Ekberg diventa ancora più gigantesca di fronte all’impotenza esistenziale di Marcello Mastroianni che si tuffa nella fontana di Trevi, ma non tocca la donna, irraggiungibile, proiezione chimerica destinata a svanire.

la dolce vitaLa dolce vita si nutre di cronaca giornalistica (il Cristo trasportato in elicottero, le feste al Caracalla’s, la messa in scena della falsa apparizione della madonna, il bagno della diva nella Fontana di Trevi, le scazzottate coi paparazzi, la mondanità di Via Veneto, il caso Wilma Montesi) ma manipola gli avvenimenti nella dualità sacro-profano, redenzione-perdizione, realtà-illusione. Per farlo ha bisogno dello spirito guida Marcello, fantasma tra i fantasmi, che si arrende nel finale alzando le braccia in un gesto rassegnato. L’Italia di fine anni ’50 è in pieno boom economico ma ha già al suo interno i germi dell’autodistruzione, dilaniata tra il progresso e la tradizione, tra il rock di Adriano Celentano e la tromba malinconica di Polidor (che cita quella de La strada). Roma ha la tristezza arresa di un circo prima o dopo lo spettacolo, tra grossi palloni e piume di cuscino. Ed è proprio nei suoi cieli, nelle sue luci notturne e nelle sue albe livide che si proiettano mostri e angosce, mentre si danza e si canta sul mambo di “Patricia” senza rendersi conto della caduta libera verso il niente, in un percorso fluviale che dai nightclub romani conduce alla spiaggia di Fregene. Il giornalista Marcello fa della propria pigrizia un alibi: maggiore è la distanza con le proprie aspirazioni, maggiore il desiderio del cupio dissolvi. La dolce vita diventa quindi un enorme flusso di coscienza che si nutre della mediocrità e apatia di tutti i personaggi di contorno: dall’intellettuale Steiner alla diva svedese Sylvia, dai paparazzi sciacalli (presagio della moderna società del Reality Show) agli aristocratici romani nullafacenti, dal sottoproletariato che ambisce alla scalata sociale, alla ricca borghesia viziata che mostra la propria disperazione nelle orge e negli spogliarelli.

Marcello Mastroianni in La dolce vitaFellini rielabora una sceneggiatura esile ed episodica (scritta con Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi) irrobustendola con il proprio talento visionario: molti stacchi improvvisi (quello iniziale dal Cristo in elicottero alla danza orientale pagana è fortemente simbolico), uso della dissolvenza incrociata nelle scene notturne (il bagno nella fontana, il falso miracolo, la visita alla casa dei fantasmi) e l’impiego dei trasparenti che regalano a molte sequenze una consistenza onirica. Anche l’uso sapiente del bianco e nero svuota i personaggi della loro consistenza, fino a farli diventare caricature decadenti o figure disabitate, gli hollow men di Eliot. Il film vive di questi perenni contrasti come la luce da sogno che avvolge i quadri di Morandi e le ombre lunghe delle architetture futuriste dell’EUR, il corpo boteriano di certe figure femminili e la linea ossuta scheletrica dei travestiti. A differenza di 8 e 1/2 dove il sogno e l’immaginazione creano una neo-realtà che è frutto dell’autoanalisi del regista, ne La dolce vita non c’è una sola scena onirica ma tutto l’affresco assume le sembianze di una grande illusione che crolla miseramente sul lido di Fregene. Emma fidanzata iper-possessiva e provinciale, Maddalena (splendida Anouk Aimée) l’amante di una notte imbalsamata nel taedium vitae, la figura gotica dell’amico Steiner il cui cane nero incombe come un presagio, gli ultimi fuochi della sessualità senile del padre, l’irruzione della morte, non fanno che creare un distacco definitivo tra le aspirazioni artistiche di Marcello e una realtà contingente in cui il sacro viene sostituito dal profano, in un processo irreversibile e nello stesso tempo profetico. Dopo la comparsa del mostro marino dall’occhio vitreo, Marcello si inginocchia sulla spiaggia incapace di ascoltare la voce di Paolina che prova a mimargli una danza di vita, il ricordo del loro precedente incontro. Marcello non capisce, perché c’è troppo rumore. In fondo se facessimo tutti un po’ di silenzio forse qualcosa riusciremmo a sentire; invece il frastuono della confusione non concede la coscienza del proprio fallimento. Così tra il dolore e il nulla, Marcello sceglie il nulla. E l’immagine-tempo travalica i limiti dell’inquadratura e si risolve in un saluto rivolto al fuoricampo, in una luce da sogno con qualche impercettibile riflesso di eterno.

 

Regia: Federico Fellini
Interpreti: Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux
Durata: 178′
Origine: Italia 1960
Genere: drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.87 (15 voti)
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