Il grande cielo, di Howard Hawks

Devia quasi subito dal western classico inserendo episodi atipici e autoriflessivi. E la sua grandezza si manifesta pienamente dal lungo viaggio attraverso il fiume. Lunedì 10, ore 23.05, Rai Movie

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Red River (1948) e The Big Sky (1952) sono capolavori del western ma senza niente di barocco o di decadente. L’intelligenza e la coscienza dei mezzi è sempre in perfetto accordo con la sincerità del racconto. (Andrè Bazin – Che Cosa è il Cinema)

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Howard Hawks e il western. Un rapporto prolifico, seminale, che ha originato vere e proprie pietre miliari come Il fiume rosso (1948) e Un dollaro d’onore (1959) e ha contribuito alla crescita del genere. Il grande cielo (1952) si inserisce in questo processo evolutivo riprendendo il tema del viaggio di formazione associato al rapporto ambivalente con la natura. Rispetto ai film di John Ford, Howard Hawks, basandosi sul famoso romanzo di A. B. Guthrie Jr., inserisce una paradossale “claustrofobia degli spazi aperti” in cui all’iniziale stupore per gli spazi sconfinati si inserisce una sottile angoscia per una possibile minaccia. Alla Monument Valley si sostituisce il fiume Missouri, i cieli infiniti e le foreste dei grandi laghi.

Jim (Kirk Douglas) e Boone (Dewey Martin) dopo un’iniziale schermaglia e una rissa in un bar si uniscono a Zio Zeb Calloway (Arthur Hunnicutt) per risalire il fiume di circa 2000 miglia per arrivare in pieno territorio indiano e commerciare pelli. Il loro intento è rompere il monopolio della Compagnia “Missouri River” che con tutti imezzi esercita il dominio su quelle terre. La presenza con loro di una indiana, Occhio D’Anatra (Elizabeth Threatt al suo primo e ultimo film), potrebbe essere un importante lasciapassare per ritornare indenni da quei luoghi.

il grande cielo kirk douglas elizabeth threattHawks devia quasi subito dal western classico inserendo episodi atipici e autoriflessivi (quello che Bazin chiamerebbe Sur-Western): nella prima parte si sofferma molto sull’amicizia virile tra Jim e Boone con il culmine nella leggendaria scena in cui i due intonano la canzone “Whiskey leave me alone” (che Hawks riprenderà dieci anni dopo nel film Hatari!) anticipando con una bella ragazza del luogo il sensuale triangolo con Occhio d’Anatra (“remember I must go home”). Ma la grandezza del film di Hawks si esprime maggiormente nella seconda parte, quella del lungo viaggio attraverso il fiume in cui gli spazi sconfinati trasmettono oltre l’ammirazione anche un senso di fragilità e di impotenza. Ad un certo punto il limite della visione è puntellato da una serie lunghissima di indiani a cavallo (la tribù ostile dei Corvi) che osservano il procedere dell’imbarcazione per giorni, senza mai sferrare l’attacco decisivo. E il battello che continua ad essere sballottato dalle acque con il pericolo di arenarsi sembra assomigliare alla Zattera della medusa di Gericault, con i vari protagonisti travolti dalle onde delle loro paure.

il grande cieloAmbivalenza nel rapporto con la Natura, ambivalenza nei rapporti interpersonali. Questo forte parallelismo viene confermato dal triangolo amoroso tra Jim, Boone e Occhio D’anatra in cui l’indecisione tra amore fraterno e amore sessuale si risolve in coltellate e carezze, fughe e ritorni. I momenti di tensione sono diluiti nel tempo e raggiungono il climax nel confronto/scontro con la banda del perfido Streak (Jim Deavis), sicario della Compagnia. Chi sparerà per primo? Ci sono anche momenti puramente comici in questo contesto melodrammatico: la scena dell’amputazione del dito da tragica si trasforma in splendida farsa grazie alla capacità istrionica di un immenso Kirk Douglas (John Wayne rifiutò di partecipare al film anche perché non approvava questa scena). E il personaggio dell’indiano Pelleeossa (Hank Warden) con le sue risate asincrone fornisce un sottotesto smitizzante alla seriosità degli avvenimenti. Così tra amicizia e tradimento, odio e amore risaliamo il corso della nostra vita con una maggiore consapevolezza. Gli indiani da terribili nemici si trasformano nei più preziosi alleati. E alla fine si completa il Nostos degli eroi, perché tra ostacoli e trionfi, pianti e risate, si ritorna sempre a quella che consideriamo casa. Può essere St Louis, la prateria o un accampamento indiano: non c’è alcuna differenza.

Titolo originale: The Big Sky

Regia: Howard Hawks

Interpreti: Kirk Douglas, Dewey Martin, Elizabeth Threatt, Arthur Hunnicutt, Jim Deavis, Hank Warden

Durata: 117′

Origine: Usa 1952

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