#TFF37 – Simple Women, di Chiara Malta

Un film inconcludente e viziato. Che vuole essere un omaggio alla sua protagonista e invece la appanna totalmente. In una dichiarazione d’amore al cinema candida, esibita e presuntuosa. Festa Mobile

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C’è sempre un viaggio. Come alla ricerca delle proprie origini. In Uomini semplici di Hal Hartley due fratelli partono alla ricerca del padre. In Simple Women il percorso è dall’Italia al set della Romania. Dove Federica (Jasmine Trinca) va a girare un film con Elina Löwensohn, uno dei miti della sua adolescenza. L’attrice, che col regista statunitense ha girato quattro film ed è stata diretta, tra gli altri, anche da Steven Spielberg in Schindler’s List, in Uomini semplici interpretava una donna che soffriva di crisi epilettiche. Proprio come la protagonista, vittima di un attacco proprio quando era bambina all’inizio del film, mentre la sua famiglia stava guardando in tv le immagini della caduta di Ceaucescu.

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Anche nel suo primo lungometraggio di finzione, l’archivio continua ad essere parte integrante del cinema di Chiara Malta. I materiali privati in Super8 di Armando e la politica diventano la materia della propria memoria. In Simple Woman ne fanno parte non solo le immagini di Ceaucescu nel 1989 ma anche la visione del film di Hartley al cinema. E c’è ancora la preparazione di un film. Federica segue ancora un percorso simile a quello dell’uomo che sta preparando un film d’animazione erotico in L’isle.

Forse è la dichiarazione d’amore di Chiara Malta al cinema. Candida, esibita e presuntuosa. La Federica di Jasmine Trinca quasi una delle mutazioni del felliniano Guido Anselmi di Marcello Mastroianni. Una specie di 8 1/2 in salsa indie. Quasi parodia involontaria di Moretti. Presente anche come location con il Nuovo Sacher, il cinema romano a Trastevere di cui è proprietario. Il momento in cui Federica fa fermare il padre nel traffico e rincorre Elina Löwensohn replica quello in cui Nanni ferma Jennifer Beals in Caro diario. La passione, i film della vita si riducono in una fuga in motorino con l’amica. E l’inferno del set si incarta nell’imbuto di maldestre tracce psicanalitiche. Reminescenze da Bergman degli studi universitari. Federica con la pettinatura e il look della sua attrice. Il dialogo con lo specchio rotto sotto l’acqua. Simple Women non si ferma davanti a niente. Ogni tanto torna sulla terra con le fantasiose proposte di un film Marvel. Ma per gran parte rimane chiuso in un proprio immaginario che spaccia come se fosse l’unico. La regista che non riesce a tenere il set. È sempre confusa. Urla, è sconfortata. “Fermate il vento, fermate la pioggia”. Forse è Federica uno dei possibili volti della stessa cineasta nell’atto stesso della creazione. In un film che, nel proprio ego, gli sembra di volare a centinaia di metri da terra. Perché ti sta urlando: “Ora fate silenzio perché qui si sta facendo arte”. Che guarda dall’alto. Come l’immagine finale della protagonista, mentre la troupe si trova di sotto. Le cui cadute sono fragorose e sottolineate da dialoghi come “Ti ho dato tutta la mia vita e tu non ne hai fatto un bel niente”. O la litigata tra le due protagoniste che discutono attraverso il bagno. Un film inconcludente e viziato. Forse vuole essere un omaggio alla sua protagonista e invece la appanna totalmente. Frantumandola in un flusso di ricordi, come quelli dei boschi con le fragole. Un percorso onirico e di memoria. Dove regista e attrice vanno ognuna per conto proprio.

 

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