#Venezia73 – Koca Dünya (Big Big World), di Reha Erdem

Reha Erdem con la favola nera di Koca Dunya si allinea a queI cinema turco che da qualche anno a questa parte sembra aprire interrogativi attraverso una apparente fuga dalla realtà. In Orizzonti

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Su cosa si interroga da qualche anno a questa parte il cinema turco? I suoi cineasti contemporanei: Tayfun Pirselimoglu, Ermin Alper che l’anno scorso in Concorso, qui al Lido, ha presentato il suo affascinante film Abluka (Follia) e quest’anno Reha Erdem, è come se girassero intorno, ciascuno con la propria poetica, provando a immaginare e raccontarekoca-dunya-erdemstorie che possano anche prescindere da una necessaria adesione ad una contingenza, ad una stringente realtà – il cinema glielo consente – ma che abbiano una carica di mistero dentro il quale provare a ricercare ulteriori significati, altre corrispondenze e differenti rapporti con con la verosimiglianza.
Koca Dünya è la storia di Alì e Zuhal, due fratelli orfani che vivono separati. Il fratello decide di rapire la sorella, ma per fare questo è costretto ad uccidere i componenti della famiglia presso la quale lei vive. Si rifugeranno in un bosco che diventa il loro mondo.
Cosa sta provando a raccontare, quindi Reha Erdem? cos’altro oltre la storia maledetta e dolorosa dei due fratelli costretti a vivere in uno stato selvaggio sempre più drammatico, affamati e lontani da ogni comunità? In conferenza stampa ad una precisa domanda il regista ha risposto che ogni atto e quindi anche ogni film è un atto politico.

koca-dunyaorizzontiIl film di Erdem non è una favola con il lieto fine, e quindi se lo fosse sarebbe una favola nera, nella quale si agitano le paure e le inquietudini che non appartengono solo al mondo dell’infanzia. Questo mondo nel bosco, così grande da accogliere anche i due fuggitivi, lentamente sembra trasformarsi sotto gli occhi dei due giovani, prendono forma i fantasmi che hanno ossessionato le loro vite, il padre sotto le sembianze di una capretta perplessa, l’anziana donna che muore sotto i loro occhi vittima di uno smarrimento che conduce alla follia. Figure silenziose si aggirano e i rumori della natura sembrano amplificarne gli effetti. Erdem dà forma alle paure e le sue lente e intense panoramiche, alla ricerca di una forma che ci liberi dall’attesa, ci rivelano la tensione del silenzio tra gli alberi. Anche un cinema sensoriale a tratti, fatto di attese e di improvvise apparizioni in un’atmosfera continuamente legata al sogno e al dormiveglia. Assegna questo compito soprattutto a Zuhal il suo personaggio femminile, lei si avvelenerà mangiando bacche stretta dai morsi della fame.koca-dunya-reha-erdem Più su un versante di stretta realtà il profilo del personaggio maschile. Legato alla contingenza dei fatti, vittima di un furto, vittima delle situazioni.
Erdem firma un film che all’apparenza è, per l’appunto, solo una storia maledetta, una storia di abbandono e di riscoperta di un amore fraterno che corrisponde alla paura della sua perdita. Ma tra le righe del racconto che conserva quel sapore di parabola triste, con la chiusura ad ogni comunicazione che finisce nella solitudine e nell’imbarbarimento, è possibile vedere altro. Restano quindi i sospetti che in fondo il film, come molti altri provenienti dalla Turchia dispersi tra i palinsesti dei festival, altro non siano che riflessioni, con toni e coniugazioni differenti, sulla situazione di quel Paese in questi anni. Erdem lavora su un territorio selvaggio, in un antro di solitudine e di isolamento da ogni collettività sociale e di conseguenza i suoi protagonisti si inselvatichiscono. Il regista, koca-dunyanelle note che accompagnano il film, fa riferimento a quell’abbraccio che manca ai due protagonisti, quell’abbraccio paterno e materno che loro invocano e provano, nel delirio della loro condizione, a ritrovare nelle presenze inquietanti del bosco. Mancano i padri e le madri alla Turchia? I due protagonisti devono per forza fare da soli e si muovono prima sospetti e poi sempre più a proprio agio nonostante tutto, convivono con le creature della natura e a volte con loro stessi con queste si confondono e si mimetizzano. È una trasformazione della loro vita che avviene in questo ambiente dai riflessi magici, che restano però sempre minacciosamente magici.
Il regista turco, non nuovo a queste forme espressive utilizzate in questo film, dimostra una solida mano anche nella mutazione del registro narrativo tra le due ambientazioni in cui si svolge la storia. Si resta sempre a qualche metro dalla terra. Erdem lascia sospesi i suoi spettatori, li lascia come protesi verso un salto nel vuoto, con lo sgomento di chi vuole osare, ma senza sapere come andrà a finire la storia.

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