"World Trade Center" di Oliver Stone

Stone decide di raccontare storie private di due eroi per caso, ma c'è alcun senso di colpa né di rabbia nel suo film. E il suo cinema si impantana qui, forse definitivamente.

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Oliver Stone arriva sempre "dopo". Dopo la storia, dopo i fatti, dopo le storie raccontate da altri, per raccontare con il suo lirismo spassionato e tecnicamente gelido, quasi da archeologo dell'immaginario collettivo dei nostri tempi. Il suo World Trade Center non declama, non polemizza politicamente, non urla. Ma sceglie di raccontare UNA storia, una piccola grande storia, di poliziotti/eroi che per salvare gli altri si ritrovano incastrati sotto le macerie del crollo delle Twin Towers. Sono i privati degli eroi che interessano Stone. Le loro storie diverse, uno aspetta un figlio dalla moglie ed è ancora "felice", mentre l'altro, con già 4 figli, ha "smesso di guardarsi", con la moglie, che lascia a letto senza salutare la mattina, nella prima sequenza del film. Ma è un amore che sta spegnendosi per le difficoltà della vita, come capita spesso a tanti amori, quello tra John McLoghlin (Nicolas Cage) e la moglie  Donna (Maria Bello). I figli, il lavoro, i ritmi della corsa quotidiana, sta allontanandoli. E ci vorrà la "grande tragedia", forse, per riavvicinarli. Mc Loghlin e il suo collega Jimeno (Michel Pena) corrono dentro il World Trade Center per cercare di mettere in salvo più persone possibile, ma proprio mentre stanno nel bel cuore del Centro avviene la caduta della seconda torre. Qui l'effetto, soprattutto sonoro, ma anche visivo, del film è di grande qualità, e Stone raggiunge il vertice della sua "poetica lineare" quando dalle macerie dove sono sepolti i due poliziotti, di cui nel  buio intravediamo appena i volti doloranti, lentamente con la mdp esce fuori in superficie a mostrare i resti del WTT, fino a risalire più su e vedere Manhattan, poi tutta New York, l'America, e poi su fino a un satellite che sembra osservare il pianeta terra. Ma non è il tragitto filosofico di Contact, che andava ad ascoltare da altri mondi i suoni del nostro pianeta.

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Questo virtuosismo Stone lo lascia lì, isolato, come i due poliziotti che solo dopo tantissime ore hanno trovato qualcuno che li raccogliesse da lì sotto. E da qui in poi Stone – che pure nelle prime immagini della New York all'alba sembrava riuscire a cogliere come una sorta di "innocenza" –  riesce davvero a dare il peggio di sé: dal sogno di Gesù con la bottiglia d'acqua del poliziotto ispanico, alle convenzionalissime storie delle mogli dei due poliziotti, fino all'epica figura del marine che decide di andare a salvare qualcuno, li troverà e poi (come dicono i titoli di coda) finirà a combattere in Iraq. Un empasse terribile, quello di Stone, che celebra l'America come terra di eroi, di famiglie forti e di "bravi ragazzi", fedeli alla bandiera e alla patria.  Niente riflessioni sul perché l'11/9, né sul dopo. Solo la certezza di una nazione dai nervi saldi e dagli uomini decisi e valorosi. Non c'è una titubanza, un attimo di esitazione nel film, e forse l'unico vero "atto umano", disperato, resta proprio quel suicidio improvviso, del terzo poliziotto rimasto sotto le macerie,  ferito e senza più forze per lottare. Stone riesce ad emozionare più con la claustrofobia che le sue immagini, con i primi piani dei due eroi intrappolati, suscitano. Ma i flashback e i sogni dei due sono imbarazzanti.  Non c'è alcun senso di colpa, né di rabbia nel suo film. Il cinema di Stone si impantana, forse, definitivamente. Anche se spesso ha, almeno in passato, saputo sorprenderci. 

Titolo originale: id.


Regia: Oliver Stone


Interpreti: Nicolas Cage, Michael Pena, Maggie Gyllenhaal, Maria Bello. Stephen Dorff


Distribuzione: Uip


Durata: 129'


Origine: Usa, 2006

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