"Wrong Turn", di Rob Schmidt

L'horror che richiama stagioni felici: non supera ogni immaginazione, spaventa con il ghigno che ci difende. Indifferente distacco dalla vita e dalle strade più battute, in cui però il regista vede l'inizio e la fine, la realtà e il mistero. La sorpresa è denudata e annullata e la paura non è l'angoscia di non poterne vedere abbastanza.

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Tornare indietro, invertire il senso, ponderando gli spazi, il tempo e un genere che lotta sgomitando per tornare a galla dal deforme, dal mostruoso. Tre giganteschi "scarti genetici" occupano un territorio esteso e disabitato, tra i boschi e l'incontaminazione. Ignari campeggiatori "invadono" l'area interdetta e con loro un giovane che cambia strada perchè in ritardo. In periodi di crisi di un genere o di un Paese, si prova il saggio puramente teorico, una perlustrazione sulla paura dell'estraneo, dell'inconscio che emerge con le sembianze terrificanti di una rete di segni e d'indizi inspiegabili, e che, svelato il mistero, si rivolge alla violenza visiva dell'horror, al repertorio del già visto, per chiudere la partita. In questo modo il film vero e proprio si svolge negli intrecci paurosi della prima parte, mentre nel finale subentra il genere. L'horror di cui si sta parlando invece è quello più specifico, esposto ai processi di mutazione che ha esplorato ed estenuato, tracimato e di continuo rimesso in circolo, il discorso sui margini incerti della sua stessa identità. L'horror che richiama stagioni felici: non supera ogni immaginazione, spaventa con il ghigno che ci difende. Indifferente distacco dalla vita e dalle strade più battute, in cui però il regista vede l'inizio e la fine, la realtà e il mistero. La sorpresa è denudata e annullata e la paura non è l'angoscia di non poterne vedere abbastanza. Cinema che esplora (in)disturbato sconfinate "macchie" verdi e rosse e che punisce chi non vuol vedere, chi lascia inalterata la realtà nascosta e scomoda. Non c'è morale predefinita e retorica discorsiva del "fantastico", ma solo cinema del soggetto e non macchina ridondante, che non riesce neanche a riattivarsi celebrando la propria morte. Ritorna il soggetto e il racconto guadagna sostanza senza rarefarsi.    

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Regia: Rob Schmidt


Sceneggiatura: Alan B. McElroy


Fotografia: John Bartley


Montaggio: Michael Ross


Scenografia: Alicia Keywan


Musiche: Elia Cmiral


Costumi: Georgina Yarhi


Interpreti: Desmond Harrington (Chris), Eliza Dushku (Jessie), Jeremy Sisto (Scott), Emmanuelle Chriqui (Carly), Lindy Booth (Francine), Kevin Zegers (Evan)


Produzione: Summit Entertainment, Stan Winston Productions


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 84'


Origine: USA, 2004


     

 

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