52.ma BERLINALE: Iosseliani, trasparenza della vita

Ci ha pensato lo sguardo trasognato e ebbro di ironica dolcezza di questo regista georgiano apolide ad illuminare di necessaria poesia il Concorso: “Lundi Matin” è il miglior film della competizione berlinese

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BERLINO – Come sempre popolato di fantasmi, di spiriti, di corpi docilmente dispersi nella trasparenza della vita, il cinema di Otar Iosseliani.
Ci ha pensato lo sguardo trasognato e ebbro di ironica dolcezza di questo regista georgiano apolide ad illuminare di necessaria poesia il Concorso della 52.ma Berlinale: “Lundi Matin” è – assieme a “Spirited Away” di Hayao Miyazaki – il miglior film della competizione berlinese, oltre che uno dei suoi lavori più belli, vicino per leggerezza e assoluta idealità ai “Favoriti della luna” e “Caccia alle farfalle”.
Maneggia le microscopiche verità della vita con l’incoscienza di un bambino – o, se preferite, con l’irresponsabilità di un saggio -, questo regista che abita la quotidianità vestendola di uno strano incanto, sospeso sulla malinconia del tempo che si consuma e l’euforia di un sentire bambino. I suoi film producono sempre uno sbandamento emotivo, la sensazione netta di essere in presenza di accadimenti straordinari dei quali comunque non ti accorgi, la vertigine di una trasparenza che fantasmatizza ogni verità e la riproduce con una magia che appartiene ad altri mondi.

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E “Lundi Matin” risponde perfettamente a questa chiamata: popolato di ombre che attraversano senza peso la realtà – come sempre in Iosseliani quasi mute, se non fosse per il borbottio vagamente “tatiano” che ne (in)definisce i dialoghi -, il film racconta la fuga dal tran tran quotidiano di Vincent, un operaio francese con famiglia a carico (moglie, due figli, vecchia madre dall’aria nobiliare decaduta, che rimanda immancabilmente all’alterità tipica dei mondi di Iosseliani). Ogni mattina l’uomo si alza alle cinque e va in fabbrica, dove un grande cartello all’entrata oppone il divieto di fumare, divieto fatto rispettare maniacalmente dai superiori e subìto con irriverenza da slapstick dagli indisciplinati operai. Quando torna a casa, la famiglia – pur distratta da un’operatività quotidiana venata di creatività nella febbrile manualità della prole -, incombe con mille piccoli impegni che gli impediscono di coltivare la sua passione per la pittura. Tutto scorre nella placida e dolce noia del non accadere, sino a quando Vincent non decide di salire su un treno e andare a vedere il mondo: la meta è Venezia, dove la vecchia madre gli ha detto che vive il padre. L’incontro accade senza clamore, naturalmente, tanto rilevante quanto quello con un conte decaduto e stralunato (interpretato dallo stesso Iosseliani) cui il genitore lo indirizza. Più fragrante per Vincent la conoscenza con un altro operaio, che fa il saldatore come lui in una fabbrica veneziana dove come nella sua è vietato fumare, che come lui ha una famiglia che ama ma che lo soffoca. Alla fine tornerà a casa, Vincent, ma solo dopo aver girato il mondo a bordo di un mercantile, spingendosi sino alle piramidi per poi riprendere il suo posto in fabbrica, forse con un po’ di poesia in più nel cuore…Certo, detto così “Lundi Matin” potrebbe sembrare un film sulla condizione operaia, ma niente di più sbagliato: si tratta infatti di un’opera di Iosseliani e questo regista è uno che ai teoremi proprio non bada. Lui bada piuttosto alla assoluta libertà con cui compone le sue storie, alla leggerezza tutta lirica delle figure cui assegna il compito di raccontare il nonsenso dell’esistenza. Nei suoi film si beve, si canta, si perde tempo, le figure surreali attraversano con gusto straordinariamente ironico lo spazio. Nei suoi film si ride nel segno dell’assurdo che disegna la vita quotidiana, e la magia dei sentimenti si accende improvvisa in un’inquadratura, in una carrellata, nell’ingresso in campo di un elemento che rivela improvvisa la poesia del suo sguardo sul mondo. Fantasmi fuori dal tempo, i suoi personaggi, appartengono a una razza che non pratica la vita come tutti gli altri, preferendo muoversi negli interstizi, tra l’ombra e la luce, apparendo e disparendo prima di ogni concretezza che ne appesantisca la libertà antirealistica, antilirica, antironica…

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