L’uomo di Laramie, di Anthony Mann

Western atipico con influenze shakesperiane con un uso magistrale del CinemaScope. Ultimo film tra il regista e James Stewart. Oggi, ore 17.30, Rai Movie

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“Tra ordine e disordine, tra voglia di pacificazione e aspirazione alla marginalità, tra individualismo e valori della comunità, si dipana di film in film l’itinerario schizofrenico di un personaggio che incarna in modo meraviglioso il senso di precarietà e di sacrificio veicolati dall’inevitabile movimento verso l’Ovest, la colonizzazione dei territori vergini, la fine della Frontiera.” Alberto Morsiani

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L’ultima collaborazione tra Anthony Mann e James Stewart è un western atipico che intreccia diverse sotto-trame sulla vendetta e il potere ed ha evidenti influenze shakespeariane. King Lear è la tragedia di riferimento ma l’indagine investigativa di caccia al colpevole ha più di una influenza hitchcockiana. Will Lockhart è un capitano di cavalleria che ha perso l’amato fratello in una imboscata degli indiani: ciò che lo muove da Laramie a Coronado, nel New Mexico, è la vendetta verso colui che ha venduto le armi agli Apache. Arrivato in paese, si scatenano una serie di conflitti che riguardano l’eredità del vecchio possidente terriero Alec Waggoman (Donald Crisp, Oscar miglior attore non protagonista per Com’era verde la mia valle) contesa tra il figlio naturale Dave (Alex Nicol) e quello adottivo Vic (Arthur Kennedy già apprezzato in Là dove scende il fiume). A complicare le cose ci sono due figure femminili: la proprietaria dell’emporio Barbara (Cathy O’Donnell) cugina dei Waggoman e promessa sposa a Vic, e la materna Kate proprietaria del ranch Half Moon (Aline MacMahon) ai suoi tempi ex fidanzata del patriarca. E proprio la acutezza dei ritratti di queste lavoratrici che fa risaltare la ignavia e la instabilità dei personaggi maschili, poco disposti all’accoglienza e divorati dalle tensioni con la figura genitoriale paterna.

Il ritornello che scandisce il ritmo del film è l’insistenza con cui quasi tutti gli abitanti di Coronado invitano Will Lockhart (che richiama il Will Kane di High Noon) a fare i bagagli e tornarsene da dove è venuto. Solo che Lockhart è uno che non appartiene ad alcun paese (“A me pare d’essere nato sempre dove sono…”) e, attraverso una via crucis di mortificazioni corporali (trascinato da un cavallo, sbattuto in prigione, torturato) riuscirà a scoprire il colpevole.

Anthony Mann mette la firma su ogni inquadratura; usa magistralmente il CinemaScope per rappresentare il deserto del New Mexico e le bianche distese delle saline e organizza gli interni in maniera impressionistica: le linee rozze delle strette pareti della prigione contrastano con le forme sinuose e circolari della cucina di Barbara. Altrettanto simbolico è l’uso del colore: il nero dei carri bruciati contrasta con il verde e il giallo del deserto, il rosso del fazzoletto attorno al collo di Lochkart preannuncia il suo prossimo martirio, il grigio e il marrone del ranch Half Moon armonizza con il vestiario dell’eroina Kate.

Ma è nella caratterizzazione della violenza che Anthony Mann sembra spingersi un poco più in là rispetto a Lo sperone nudo e Terra lontana: non solo gesti folli come sparare ai muli e fare trascinare nemici da cavalli imbizzarriti, ma anche violenze perpetrate su soggetti inermi (il vecchio patriarca cieco buttato giù in un burrone, Lochkart colpito a una mano, la rabbia cieca dello psicopatico Dave). La scrittura di Philip Yordan e Frank Burt si concentra sull’evoluzione caratteriale di quelli che saranno i contendenti del duello finale, Vic e Lochkart. Lo straniero del sogno shakespeariano non viene da fuori, ma è dentro casa e sta tramando per la successione. Mann inserisce inoltre una rigorosa reprimenda sul traffico d’armi e sottolinea come gli Apache siano armati proprio dall’uomo bianco. Di fronte ad odii e vendette, la stessa storia d’amore tra Lochkart e Barbara non può che scomparire, ostacolata dalla precarietà di un nomadismo alla ricerca delle proprie radici identitarie. Quando il film usci nelle sale subì una accoglienza tiepida a causa della trama piuttosto complicata e perché si distanziava dall’omonimo racconto di Thomas. T. Flynn proprio per esaltare le psicologie di diversi personaggi (in questo richiama uno dei primi western di Mann, The Furies). Fortunatamente L’uomo di Laramie è stato col tempo rivalutato dai critici di ogni latitudine ed è oggi considerata opera fondamentale per il passaggio verso l’estetica del western degli anni ’60 e ’70.

 

Titolo originale: The Man from Laramie
Regia: Anthony Mann
Interpreti: James Stewart, Arthur Kennedy, Donald Crisp, Cathy O’Donnell, Alex Nichol, Aline MacMahon
Durata: 104′
Origine: Usa 1955
Genere: western

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (4 voti)

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