The Oak Room, di Cody Calahan

Un film che, con intelligenza ed ambizione, cerca di porre in scacco uno dei sistemi di rappresentazione fondamentali dell’intrattenimento . In Le stanze di Rol al #TFF38

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All’inizio di The Oak Room il barista Paul lascia cadere nella conversazione con il giovane vagabondo Steve il nome di una cittadina, Winnipeg. Il film se ne dimenticherà quasi subito, perdendosi in un dedalo di racconti concentrici dal sapore noir che fanno capo ad una lunga serie di narratori e protagonisti ma per capire l’ultmo film di Cody Calahan, bisogna partire proprio da lì. My Winnipeg è infatti il titolo di un film di Guy Maddin, il cui The Forbidden Room spinge all’eccesso il concept dei racconti come scatole cinesi che struttura anche The Oak Room, in un costante dialogo tra pop e dimensione alta che coinvolge anche gli studi sui sistemi narrativi di Drew Goddard ma il film di Calahan si dimenticherà presto dell’approccio ludico delle sue fonti optando per un approccio militante rivolto al contesto in cui si inserisce.

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The Oak Room riflette sulla dimensione ancestrale del racconto. I personaggi sembrano spinti da un’impellente necessità di narrare, tra la fluvialità dei dialoghi tarantiniani e l’attenzione al mito al di là della sua veridicità dei western di Ford. Partendo dal grado zero dello storytelling Calahan struttura un’opera mondo sui fantasmi dell’America rurale, di cui porta alla luce, con lucidità tutta la disillusione, il pessimismo e la mancanza di prospettive. Da lì la regia studia anche un approccio all’immaginario che sia coerente con il racconto che fa dell’America. The Oak Room decostruisce all’estremo le forme del noir, ne saggia il contatto con altri generi, ma soprattutto si concentra su strutture narrative paradossali, racconti chiusi in sé stessi, spesso falsi, ma al contempo vivacissimi nel loro aprirsi a percorsi imprevisti e continui What if narrativi.

L’ambizione di Calahan è quasi fuori scala per il modo in cui interroga il sistema di segni in cui va ad inserirsi il film. The Oak Room si pone come consapevole risposta indie alla Franchise Age, agli immaginari complessi, agli universi narrativi interconnessi. Il bar che accoglie Steve è il luogo su cui affacciano infiniti universi narrativi possibili ma il passo di Calahan è evidentemente nichilista. Guarda il meccanismo narrativo dall’interno e ne ammette la finitudine, l’incompiutezza. Gli infiniti spazi che dipartono dall’Oak Room sono altrettanti nuclei narrativi sghembi, finiti, copie difettose di qualcosa di più ampio e ambizioso, strutture ideali per raccontare l’incertezza del presente.

The Oak Room non inventa forse nulla di rivoluzionario ma il film risulta uno dei progetti più consapevoli dello zeitgeist con cui va ad interagire. Cody Calahan, con coraggio e incoscienza mostra il vuoto dietro ad alcune delle strutture centrali del nostro sistema d’intrattenimento e lo fa utilizzando il loro stesso linguaggio, provando nell’impresa impossibile di costruire un sistema di storytelling adatto alla complessità di questi tempi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.33 (3 voti)
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