Gyeong-ah’s Daughter, di Kim Jung-eun

Il cyberbullismo sessuale diventa l’occasione per riflettere sul rapporto madre-figlia, in una cornice intima, personale, distante dai (pre)giudizi della società. Dall’Asian Film Festival di Roma

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Negli ultimi tempi il cinema coreano appare sempre più interessato alle realtà del cyberbullismo, e ai modi in cui apre spazi di vulnerabilità per le sue vittime. Da Socialphobia (2019) a Marionette (2017) fino al più recente Jeong-sun, i protagonisti di questi racconti, data forse l’iper-invasività delle infrastrutture tecnologiche nella società sudcoreana, vengono ripetutamente catapultati nell’horror vacui digitale. Dove il corpo-analogico, esibito agli occhi dei pubblici/utenti del web, si fa sempre più inibito, esposto – e quindi fragile. Ed è proprio con il film di Jeong Ji-hye che questo Gyeong-ah’s Daughter intrattiene un rapporto assolutamente speculare. Al punto che ne condivide la stessa istanza di partenza. Affrontata, però, da una prospettiva diversa. Più intima, e meno sociologica.

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Alla pari dell’eponimo personaggio di Jeong-sun, anche qui la quotidianità della protagonista è violata dalla diffusione improvvisa di un video erotico. Un’azione già di per sé meschina, questa commessa per ripicca dall’ex-fidanzato, che porta ad una violazione ancora più grande, radicale e distruttiva: prima ancora di condividere il video su internet, lo invia infatti alla inconsapevole madre di Yeon-su, Gyeong-ah (Kim Jung-young) mettendo a serio rischio una relazione già falcidiata da anni di incomprensioni e fallimenti comunicativi. E non è un caso che il film si apra proprio con una video-chiamata tra le due donne. Quasi a suggellare tutti i temi di Gyeong-ah’s Daughter – anche (e soprattutto) quelli relativi al fenomeno del cyberbullismo sessuale – in un orizzonte interiore, personale, in cui la società non conta. E dal quale è estromesso tutto ciò che è esterno e periferico al legame filiale.

Ed è proprio qui che osserviamo tutte le differenze con il film di Jeong Ji-hye. Se la diffusione del video incriminato è per l’operaia di Jeong-sun il principio dell’ostracizzazione pubblica, qui non si assiste praticamente mai alla socializzazione collettiva dell’evento. Per Yeon-su (Ha Yoon-kyung) e per il film, tutto deve passare attraverso lo sguardo – e l’approvazione – di Gyeong-ah. È il rapporto madre-figlia ad essere messo in questione, a diventare oggetto di tematizzazione. Non l’estensione o l’apertura alla società dell’intimità fratturata della giovane donna. E per quanto, in tal senso, il racconto di Gyeong-ah’s Daughter possa risultare fin troppo chiuso e impermeabile a qualsiasi intento critico, è pur vero che la regista rivela sin da subito l’approccio intimista del film. Riuscendo nell’impresa di declinare una tematica così densa e costitutiva della società coreana, in una cornice deliberatamente personale e microcosmica. In cui le fallibilità comunicative non contemplano un’origine esterna. Ma si riflettono nelle immagini di solitudine delle due donne. Tese a rincorrersi l’una con l’altra. Finché non raggiungono una parvenza di prossimità emotiva. Anche a dispetto della brutale distanza che le separa.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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