La programmazione di Fuori Orario dal 4 al 10 giugno

Da stanotte a sabato 10, il cinema di Philippe Garrel, l’espressionismo del fantasma tra Personal Shopper e La settima vittima e il surrealismo della rivolta con Chaplin, Vigo e Kaurismäki.

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Domenica 4 giugno dalle 2.00  alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

PHILIPPE GARREL: L’AMORE CHE NON È PIÙ LÀ

ALL’OMBRA DELLE DONNE                 

(L’ombre des femmes, Francia, 2015, b/n, dur., 70′, v. o. sott. it.)

Regia: Philippe Garrel

Con: Clotilde Coureau, Lena Paugam, Stanislas Merhar, Vimala Pons

Secondo film della cosiddetta trilogia amorosa, dopo La Jalousie,  prima di L’Amant d’un jour. Fedele al 35 mm.in bianco e nero (un bianco e nero unico e folgorante nel cinema contemporaneo, officiato religiosamente da Renato Berta), a una concezione pura e sensuale del cinema che si incarna nell’atto di filmare e in cui ogni inquadratura è indispensabile nella durata brevissima del film e nel gioco tra campo e fuori campo inscenato in una Parigi quotidiana e insieme fantasmatica.

Pierre e Mamon sono   due quarantenni parigini poveri, che vivono grazie a lavori precari pur cercando di    realizzare dei film documentari. Durante la realizzazione di un film su un vecchio membro della Resistenza,  Pierre incontra Elisabeth, stagista nell’archivio di una

cineteca, e diventa il suo amante. Un giorno Elizabeth scopre che anche Manon ha una relazione con un altro.

Film sulla resistenza, nel cinema, nella vita, nella politica, nella trama dei rapporti amorosi, ma anche sull’inevitabile disimmetria che sottende ai rapporti umani, Garrel traccia una storia intima di coppie che fa parte del suo universo da sempre, fin da Le Rèvélateur e La Concentration, e che si affina variando magistralmente di film in film: quell’”ombra” che gli uomini trasmettono e impongono alle donne da una generazione all’altra.  “In che modo, in rapporto a un tema e a uno schema classico – lo studio della coppia che è stato fatto fin dalla notte dei tempi – si poteva cercare di creare situazioni che non erano mai state espresse? Mi piace un artista quando mostra qualcosa che non è mai stato fatto. È per questo che giovanissimo ho preso Godard come mio oggetto di ammirazione”. (Philippe Garrel).

LA JALOUSIE                   

(Francia, 2013, b/n., dur., 73′, v.o. sott.it)

Regia: Philippe Garrel

Con: Louis Garrel, Anna Mouglalis, Esther Garrel, Olga Milshtein, Rebecca Convenant

Louis è un trentenne, attore di teatro di povere condizioni, che lascia la moglie Esther e la piccola figlia Charlotte per vivere con la sua nuova compagna Claudia in un piccolo appartamento ammobiliato.   Un tempo Claudia era un’attrice promettente, ma da anni non riesce a ottenere una parte. Louis ricorre inutilmente alle sue conoscenze per cercare di farla scritturare. Louis continua a frequentare la figlia, con cui ha un rapporto di tenera complicità che coinvolge la nuova compagna.  Inesorabilmente l’amore tra Louis e Claudia diventa impossibile. Claudia ormai non sopporta più la convivenza nell’appartamento, finisce per tradire il compagno e lasciarlo…

“Il film racconta la relazione che mio padre (Maurice Garrel) ebbe con una donna quando io ero bambino e l’impegno di farmi crescere gravava sulle spalle di mia madre. Ammirando l’amante ho fatto inconsciamente ingelosire la mia madre esemplare. Ecco l’origine di questo film contemporaneo: mio figlio Louis che interpreta mio padre quando quest’ultimo aveva trent’anni.” (Philippe Garrel)

Garrel è uno degli autori più amati da Fuori Orario, fin da quando J’entend plus la guitare, da poco presentato a Venezia, fu subito conosciuto dagli spettatori televisivi grazie a enrico ghezzi. Con piccoli tocchi e variazioni sui temi dell’impossibilità dell’amore, della fragilità dei rapporti, delle alte solitudini, Garrel ha raggiunto negli anni la decantazione più pura e assoluta della sua arte di travestire l’intima autobiografia con i suoi fantasmi perenni, l’incommensurabile densità e trascendenza del puro cinema delle origini. Primo film di una trilogia amorosa di cui fanno parte i due film successivi: L’ombre des femmes e L’amant d’un jour.

Venerdì 9 giugno dalle 1.40 alle 6.00

L’ESPRESSIONISMO DEL FANTASMA 

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

PERSONAL SHOPPER                     PRIMA VISIONE TV            

(Id., Francia/Germania/Repubblica Ceca/Belgio, 2016, col., dur., 101’, v.o. sott., it.)

Regia:  Olivier Assayas

Con: Kristen Stewart, Lars Eidinger, Nora von Waldstatten, Anders Danielsen Lie 

Presentato in Concorso al Festival di Cannes, vince il Premio per la Miglior Regia ex-aequo con Graduation di Cristian Mungiu 

Maureen Cartwright fa la personal shopper a Parigi per Kyra Gellman, una top model. Maureen sta aspettando che suo fratello gemello Lewis, morto di recente per una malattia cardiaca genetica, rispetti il patto di inviare un segnale dall’aldilà. Pernotta a casa di Lewis nella speranza di ricevere un segnale e incontra per breve tempo una presenza spirituale che in poco tempo diventerà uno spettro femminile pauroso. Maureen inizia a ricevere messaggi di testo da un mittente sconosciuto. Il messaggero la incoraggia ad assecondare desideri proibiti, come indossare i vestiti di Kyra. L’enigmatico messaggero lascia a Maureen la chiave di una stanza d’albergo. Indossando uno degli abiti più nuovi di Kyra, Maureen si reca nella stanza e la trova vuota. Cerca di indagare sull’identità del messaggero informandosi alla reception, ma la stanza è stata pagata in contanti e prenotata a suo nome. A questo punto succede qualcosa di irreparabile. Maureen trova il cadavere nudo di Kyra sul pavimento del bagno. Fugge in moto verso la stazione di polizia, dove viene interrogata sulla sua relazione con Kyra, ma viene rilasciata. Maureen cerca di capire, i rapporti fra le persone e la realtà sembrano muoversi verso un’altra dimensione. Mentre Maureen siede in giardino da sola, una figura spettrale appare in cucina con un bicchiere in mano. La figura scompare e il bicchiere levita brevemente prima di frantumarsi sul pavimento…

LA SETTIMA VITTIMA                               

(Italia, 1943, b/n, dur., 68’)

Regia: Mark Robson

Con:  Tom Conway, Tuim Hunter, Jean Brooks

Diretto da Mark Robson è uno dei più celebri film della serie prodotta da Val Lewton per la RKO e si avvale della magistrale fotografia del grande Nicholas Musuraca. Citato da molti altri film successivi  e amato da un arco di registi che va da Jacques Rivette a Dario Argento a Raúl Ruiz, il film è sceneggiato da Charles O’Neal e De Witt Bodeen, e racconta la storia dell’arrivo di una provinciale a New York dove diventerà la vittima di una setta di adoratori del diavolo che vogliono spingerla al suicidio.

Sabato 10 giugno dalle 1.20 alle 7.00

LA SOTTILE LINEA SURREALISTA DELLA RIVOLTA

a cura di Lorenzo Esposito

IL MONELLO                            

(The Kid Usa, 1921, b/n, dur., 61’, muto con cartelli in it., e accompagnamento musicale)

Regia: Charles Chaplin

Con: Charles Chaplin, Edna Purviance, Jackie Coogan, Tom Wilson, May White, Carl Miller

Restaurato dalla Cineteca di Bologna presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata nel 2021 

“De Il monello conosciamo già tutto. Sappiamo, ad esempio, che per salvare i negativi del film che rischiavano il pignoramento in attesa della sentenza di divorzio, Chaplin li imballò in dodici casse (divisi in cinquecento rulli nascosti dentro ai barattoli del caffè) e li trafugò fino a Salt Lake City. Qui, in una stanza d’albergo, Chaplin e Rollie Totheroh montarono il film di nascosto e con un’attrezzatura di fortuna, scegliendo tra oltre duemila sequenze sparpagliate sopra e sotto i letti, sui mobili e persino in bagno.

Conosciamo anche la storia di Jackie Coogan, che oltre a essere stato forse il più prodigioso dei comprimari chapliniani, fu l’interruttore che accese l’ispirazione per Il monello: a Chaplin furono sufficienti una manciata di minuti in cui vide Coogan calcare il palcoscenico dell’Orpheum Theatre per immaginare alcune delle scene cardine del film e imbastirne la trama.

Sappiamo infine, ma forse tendiamo a dimenticarlo ora che quasi un secolo ci divide da quest’opera, che anche Il monello, come tutti i film di Chaplin, fu realizzato ‘contro e nonostante’.

Furono in molti a sconsigliargli di avventurarsi su un terreno praticamente inesplorato, in cui farsa, commedia e melodramma avrebbero dovuto trovare e mantenere un equilibrio credibile per quasi un’ora. Eppure Chaplin si calò nel registro drammatico con sicurezza e onestà, smorzando la farsa con la poesia e prevenendo l’eccesso di sentimento con una comicità incontaminata in cui riescono a trovare fluidamente spazio il surreale e l’onirico. Se è vero, come molti critici hanno sostenuto, che nei suoi film Chaplin non ha fatto altro che rievocare e declinare l’esperienza e l’umiliazione della povertà e i ripetuti strappi affettivi vissuti da bambino, forse mai, come in Il monello, il racconto dell’infanzia è apparso tanto sincero e autentico”. (Cecilia Cenciarelli, dal Catalogo Cinema Ritrovato, giugno 2021 )

ZÉRO DE CONDUITE (ZERO IN CONDOTTA)                          

(Francia, 1933, b/n, dur., 49’, v. o. sott., it.)

Regia: Jean Vigo

Con: Jean Dasté, Robert Le Flon, du Verron, Delphin, Louis Lefebvre, Gilbert Pruchon, Coco Goldstein, Gérard de Bédarieux, Léon Larive

Il film racconta la rivolta dei ragazzi all’interno di un collegio maschile. “L’empatia di Vigo verso i piccoli insorti è acuita dalla sfrontata, esilarante descrizione dell’imbecillità delle autorità scolastiche. Indiscutibilmente uno dei più grandi film sull’infanzia, venne messo al bando dalla censura francese e non ha avuto una proiezione pubblica fino al 1945”. (Michael Almereyda)

“I capolavori consacrati all’infanzia nella letteratura e nel cinema si contano sulle dita di una mano (…) Come in tutte le opere prime, c’è in Zéro de conduite un aspetto sperimentale, idee di ogni tipo più o meno bene integrate nella sceneggiatura e girate con l’aria di dire “proviamo anche questo per vedere che effetto fa”. Penso, ad esempio, alla festa del collegio in cui su una tribuna, che è nello stesso tempo un tirassegno di fiera, alcuni manichini sono messi in mezzo a personaggi reali. Cosa che poteva fare René Clair nello stesso periodo, un’idea comunque datata. Ma per un’idea intellettualistica di questo tipo, quante superbe invenzioni si possono contare, comiche, poetiche o strazianti, tutte comunque di una grande forza visiva e di una crudezza ancora ineguagliata! (…) Qual era il segreto di Jean Vigo? É probabile che vivesse più intensamente della media della gente. Si sa che era già malato mentre girava i suoi due film e anche che ha girato certe sequenze di Zéro de conduite steso su un letto di campo. Per questo sembra plausibile che Vigo, sapendosi condannato, sia stato stimolato da questa scadenza, da questo tempo contato. Dietro la cinepresa doveva trovarsi nello stato d’animo di cui parla Ingmar Bergman: “Bisogna girare ogni film come se fosse l’ultimo”. (François Truffaut, Les Films de ma vie, 1975)

L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA                 

(Toivon tuolla puolen, Finlandia, 2017, col., 96’)

Regia: Aki Kaurismäki

Con: Shrwan Haji, Sakari Kuosmanen,

Due storie che si incrociano in una cittadina finlandese. Quella di Khaled, un rifugiato siriano che arriva di nascosto in una nave che porta carbone e chiede asilo senza successo. E quella di Wikström, un venditore all’ingrosso di camicie che, dopo una giocata a poker, decide di cambiare vita, lasciare la moglie, e aprire un ristorante. Wikström incontra Khaled, ora clandestino, che dorme dietro il locale. Gli offre cibo, alloggio e un lavoro. E decide di sfruttare il suo aspetto di straniero per convertire il locale in ristorante etnico.

Dedicato alla memoria del grande critico e programmatore Peter van Bagh, con un cameo della sua attrice di culto Kati Outinen, il film ha vinto l’Orso d’Argento per la migliore regia al Festival di Berlino.

“I personaggi di Kaurismäki non hanno mai davvero una casa. (…)  Kaurismäki sta sempre su questi margini di esclusione, storie di rifiuti, di residui, racconti di diaspore e esili. Che sono sempre, innanzitutto, individuali e poi, solo poi, per il tramite di un destino comune, collettivi. Ma se l’esilio è una costante, il fatto che in L’altro volto della speranza, come già in Miracolo a Le Havre, si parli di immigrati clandestini, di fughe dalla guerra, di confini blindati, è una naturale conseguenza. Tra Khaled, Wikström e gli improbabili dipendenti della Pinta d’Oro, il miserabile ristorante rilevato dal vecchio rappresentante di camicie, non c’è reale differenza. In fondo, Kaurismäki immagina la comunione o solidarietà come un’evoluzione naturale della solitudine. E col cinema costruisce ipotesi di resistenza e di altre famiglie, a cominciare dai volti che lo attraversano nel corso degli anni”. (Aldo Spiniello).

 

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