PESARO 44 – "The Prisoner/Terrorist" di Masao Adachi

Cinema claustrofobico, programmaticamente teso all’allegoria, rinchiuso in una concettualizzazione antiideologica di grande vigore militante, The Prisoner/Terrorist è un’opera difficile e controversa, che rischia in più di un’occasione di farsi prendere dal discorso a scapito di un’ambiguità ben presto abbandonata, ma di grande (e sano) terrorismo formale

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terrorist_1Scritto e diretto dal giapponese Masao Adachi dopo trent’anni di esilio dagli schermi cinematografici, The Prisoner/Terrorist (Yuheisha/Terorisuto è il titolo originale) presentato a Pesaro 2008 nella sezione Bande à Part, è in parte ispirato a un fatto di cronaca che molti anni fa coinvolse un esponente del Fronte Popolare Rosso. Nel corso di un attacco suicida in aeroporto, il terrorista M. prova a uccidersi con una bomba a mano. Quest’ultima non esplode e l’uomo viene catturato dalle forze dell’ordine. Messo in prigione e infine condannato all’ergastolo, ben presto sarà costretto a subire maltrattamenti e ingiurie oltre ogni umana sopportazione, fino al punto in cui il confine tra realtà e incubo, giustizia e malvagità, democrazia e totalitarismo dittatoriale andranno a perdersi completamente, lasciando il protagonista finalmente “solo con se stesso”.

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Cinema claustrofobico, programmaticamente teso all’allegoria, rinchiuso in una concettualizzazione antiideologica di grande vigore militante, The Prisoner/Terrorist è un’opera difficile e controversa, immediata, quasi semplicistica per la sua costruzione. Sebbene manchino riferimenti espliciti alla realtà odierna – e anzi il racconto è sin dall'inizio mantenuto su una scala estremamente sospesa, il film nell’obbligare lo spettatore al perverso tour de force a cui è condannato il protagonista, rischia in più di un’occasione di farsi prendere dal discorso a scapito di un’ambiguità ben presto abbandonata a vantaggio dell’assunto reiterato. Se c’è puro terrorismo nel film di Masao è allora soprattutto quello con cui spreme il  formato in betacam per raggiungere vette astratte e assolutamente composite di grande maestria (coadiuvato in tal senso dall’ossessivo bagno sonoro elettrico della colonna musicale). Non c’è più margine di differenza tra il Cinema e il cinema… la storia di questo terrorista torturato, nella messa in scena del cineasta giapponese, diventa onirica produttrice di senso, capace di definire un reale ir-reale, in una strana combustione trasparente dove l’assoluta pulizia di uno stile alto non infrange la matericità del dolore universale incarnato da M.

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