VENEZIA 68 – “Portret v sumerkakh” (Twilight portrait), di Angelina Nikonova (Giornate degli Autori)

Twilight prtrait

Portret v sumerkakh scritto da Olga Dihovichnaya che ne è diventata protagonista e diretto da Angelina Nkonova, non è una riflessione sulla Russia di oggi, non è neppure una indagine sulla deteriorata condizione sociale delle metropoli russe è, invece, molto più profondamente un singolare e quanto mai profondo scavo nella psicologia femminile come raramente capita di vedere nelle storie del cinema. Nella sezione Giornate degli Autori

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Twilight portraitLa singolare vicenda produttiva che ha avuto il film merita di essere brevemente riportata. Olga Dihovichnaya dopo avere scritto il soggetto, ha offerto la possibilità ad Angelina Nikonova di scrivere insieme la sceneggiatura e di dirigere, ma da sola il film, rinunciando dal canto suo all’originaria idea di regia. L’amica Nikonova ha accettato di buon grado anche a causa di un periodo non particolarmente favorevole  che la sua attività artistica stava attraversando. In questo gioco di scambi e di opportunità, è nata la reciproca offerta a Olga Dihovichnaya di diventare la protagonista del film.

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Il sintetico resoconto sulla genesi del film serve a definire i contorni dentro i quali ci si deve muovere per entrare nel clima del racconto, ma soprattutto serve a  farci rendere conto di quanto alto sia il potenziale di psicologia femminile dentro la storia. Se di altri film si è dichiarata l’appartenenza un cinema apertamente femminile, per sottolinearne contenuti e storie, personaggi chiave o caso mai la composizione della troupe, in questo caso la definizione spetta a pieno titolo.

È natura del film a confermare la correttezza della definizione e l’originale scambio di ruoli e valzer di funzioni artistiche dai quali nasce costituisce solo una premessa che testimonia l’estrema condivisione che ha trovato il progetto.

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Marina è una giovane e avvenente donna con un marito imprenditore, un padre potente nell’emergente mondo dellaTwilight portrait finanza russa, un lavoro, quello di assistente sociale, che la soddisfa. Ma dietro l’apparenza di una vita felice Marina vive in solitudine i drammi che conosce sul lavoro, soffrendo l’indifferenza generale e il tormento di un matrimonio che non funziona e le sue scappatelle con l’amico di famiglia ne sono un evidente, quanto segreto, sintomo. Un banalissimo incidente, dopo un ennesimo incontro clandestino, sembra fare progressivamente precipitare la sua vita. Dopo uno scippo e una violenza subita da tre poliziotti, nei giorni successivi svelerà, durante una cena di festeggiamento, davanti agli amici, i segreti della sua vita denunciando la debolezza del marito e l’ipocrisia dei rapporti che gli stessi suoi amici tengono con lei. Il marito le consiglia una pausa, ma Marina vivrà per alcuni giorni a casa di uno poliziotti che l’hanno violentata alla ricerca di un annullamento della propria esistenza.

La complessa struttura della trama conferma la progressiva stratificazione dei piani narrativi corrispondenti, ciascuno, alla progressiva evoluzione della protagonista.

Il nuovo cinema russo sta dimostrando di avere una straordinaria forza narrativa, oltre che una consolidata capacità indagatrice nell’animo umano come è tradizione di questo Paese.

Le due ultime edizioni del Festival di Pesaro hanno dato voce e visione a questo cinema e ai suoi autori, così ricco di utili racconti anche per il cinema occidentale. Una delle principali doti di questo cinema è l’abilità nel mettere completamente a nudo i sentimenti. Portret v sumerkakh non fa eccezione. Non fa eccezione soprattutto tenendo conto che sono proprio i personaggi femminili a imporre, attraverso i propri moti dell’animo, i temi di riflessione e non a caso, è proprio il cinema russo a contare la pattuglia più numerosa di scrittrici e registe e anche sotto questo profilo il film della Nikonovaa non fa eccezione.

Il film della Nikonova non è una riflessione sulla Russia di oggi, per quanto apparentemente alcuni tratti sembrerebbero deporre in tale senso, ma i fatti non sono mai visti in chiave sociale, quanto piuttosto come sintomi che confermano il male di vivere di Marina. Portret v sumerkakh non è neppure una indagine sulla deteriorata condizione sociale delle metropoli russe è, invece, molto più profondamente, una singolare e quanto mai sincera ricerca di verità nella psicologia femminile. La spietata e autentica indagine che le autrici conducono attraverso la loro protagonista, conferisce al film una rara presa che stringe e strapazza ogni convinzione moralistica. Il progressivo dissolvimento del personaggio, per un momento ci fa vedere l’abisso ed è proprio questa messa in scena senza ipocrisie o vane pietà ad istituire un immediata empatia tra il pubblico, la storia e la sua protagonista. Non può che essere letta in questa chiave anche la scelta dichiarata della regista di non fare utilizzare alcun trucco alla sua attrice e l’evidente utilizzo di luci naturali. Un cupio dissolvi è quello che cerca Marina, che in fondo pare essere l’unica via per l’auspicata rinascita. Il film resta nell’equilibrio del crepuscolo, come il suo titolo, tra luci e ombre incombenti e quello di Marina è senza dubbio un ritratto al crepuscolo.

Twilight portraitÈ nell’ossessione del sesso che Marina cerca il proprio annullamento (qui si ossessione e non nelle inoffensive pratiche del pur talentuoso McQuenn) ed è nell’annichilimento personale, che passa attraverso una pratica sessuale quasi degradante, che Marina cerca la strada per la sua rinascita. Il crescendo narrativo del film è esemplare, l’incipit, conosciuto lo sviluppo successivo, da manuale. Il film della Nikonova diventa un quanto mai unico pezzo di cinema che racconta di questo divorante desiderio di annullamento alla ricerca di una nuova vita. Un sottile gioco psicologico che utilizza per questi fini la brutalità del rapporto sessuale, diventando palese provocazione contro ogni moralismo. Un umiliante e perverso gioco masochistico che sembra dovere appartenere alla psiche femminile. Il cinema della Nikonova e della Dihovichnaya mette in scena anche questa condizione femminile, firmando un film spiazzante e sincero, senza timore di compiere una rischiosa discesa nell’oscuro femminile, senza, soprattutto, i timori di una accusa che possa attribuire al film l’”infamante” patente di opera politicamente scorretta.

 

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