Mikio Naruse: artigiano senza speranza e dal grande presente

"Il film è un qualcosa destinato a scomparire in breve tempo. Questo è il destino del cinema… ". Ottantanove pellicole di un autore moderno senza volerlo né saperlo, per il semplice gioco di estrema attenzione rivolta ai movimenti e battiti di vita più impercettibili. A proposito di una retrospettiva all'Istituto Giapponese di Cultura di Roma.

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Formatosi ai tempi del muto, Naruse, ha sempre considerato i film una merce e il regista un artigiano. Fabbricante di melodrammi e di shomin-geki dove la classe media dei piccoli borghesi, per la prima volta, si mostra come protagonista assoluta. La sua macchina da presa resta incollata a ogni istante del presente, lo stesso al quale anche i suoi personaggi si trovano incatenati. La vita è un'esperienza al limite della sopravvivenza, e non meramente fisica, quanto piuttosto psicologica e morale, o ancora, estetica. Esiste una bellezza della vita che è nota ai personaggi e di cui essi risentono, perchè sanno perfettamente che sempre li eluderà. Le cose sono ciò che sono, una volta e per tutte, senza nessun mistero, spogliate persino della possibilità dell'illusione. È una rara concezione del cinema, per cui si lavora in modo così immediato, lineare e incredibilmente leggibile. Il punto focale è il presente della gente comune: il passato sopravvive solo come breve flashback e il futuro sembra svanire. Azzerati gli "happy ends", i finali restano sospesi. Rare sono le scene drammatiche, gli scontri violenti: l'espressione dei sentimenti è affidata alla comunicazione non verbale, a uno sguardo o a un movimento del corpo appena accennato, o ancora ad un delicato umorismo stemperante. Nell'equilibrio raggiunto tra la noia di tutti i giorni, la commedia e il melodramma si attiva il meccanismo perfetto. Se qualche volta, Naruse rinuncia a raccontare il presente lo fa ricorrendo all'ellissi: lo spettatore non è quasi mai testimone del dramma, piuttosto ne è messo al corrente dopo, quando i protagonisti lo hanno già rielaborato, metabolizzato. L'allentamento della tensione, di comprensibile pudore, è un inno alla sensibilità dell'essenziale che diviene "minimalismo", per la linearità della composizione e la sobrietà del montaggio e dei movimenti di macchina. Oltre al personaggio, nei fotogrammi si stampa sempre l'ambiente: alternando primi piani e mezze figure, l'obiettivo coglie il flusso dell'esistenza senza spezzarlo. Ma sono sempre le reazioni degli uomini a dominare la scena, non l'ambiente in cui si dimenano. I loro problemi restano comunque estranei ad ogni tentazione "tipicizzante".

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Mizoguchi raggiunge l'universalità attraverso la perfezione delle "mises en scenes" e la ricchezza semantica. Egli sottopone il tempo dei suoi film al tempo della storia e affligge ed esamina minutamente i personaggi di fronte a questa gravità. Ozu aspira più all'assolutezza dello stile. La successione di interruzioni nette crea massima continuità, fino alla completa rottura in cui scorre e si esaurisce questa stessa continuità spazio-temporale dell'emozione, della finzione, della vita. Il cinema è un "puzzle" e cattura il "flusso pulsante" che fugge in ogni direzione. Naruse (riconosciuto come maestro da Hou Hsiao Hsien ed Edward Yang) è moderno senza volerlo né saperlo, per il semplice gioco di un'estrema attenzione rivolta ai movimenti e battiti di vita più impercettibili.

Cominciando negli anni trenta come regista di film assurdi a sfondo sessuale (Testimonianza sugli sposini, E ora non eccitatevi), con il Pasto, del 1951, Naruse raggiunge il successo anche di critica. Il film è tra le massime espressioni, in assoluto, dell'antica filosofia giapponese del "shikata ga nai": non ci si può fare nulla. Il Lampo (1952) volge definitivamente l'attenzione alla vita quotidiana di un gruppo di fratellastri. Fusione impeccabile di letteratura e cinema. Ennesima trasposizione di un'opera di Fumiko Haiashi. In Fratello maggiore, sorella minore (1953) i primi piani spogliano i personaggi passando dal realismo al naturalismo. I personaggi a volte mancano di intelligenza e della capacità di guardare in se stessi, come succede ai personaggi di Gosho, che pure appartengono alla stessa classe sociale. Se pure in trappola, quest'ultimi però, provano a liberarsi dalla morsa. Il suono della montagna (1954) è strettamente ancorato nell'immersione verso i fondali dei vissuti più reconditi. La macchina da presa si trasforma in microscopio: il microcosmo cellulare è simbolo della società. Nubi fluttuanti (1955) è sicuramente il più famoso e tra i più riusciti film di Naruse. Tra i suoi pregi sicuramente quello di una perfetta ricostruzione del mondo post-bellico.

Mizoguchi dimostra che ci si può salvare attraverso la bellezza; Gosho permette ai suoi personaggi di sperare; Ozu gli toglie tutto ma lascia la consolazione dell'essere insieme; Naruse, invece, non offre via d'uscita. Si vive in un mondo fluttuante che non ha per noi alcun significato. Se abbiamo fortuna, moriamo, altrimenti dobbiamo continuare all'infinito in una vita senza scopo. La felicità è impossibile; al massimo ci è permessa una certa tranquillità, a patto di rinunciare a qualsiasi speranza.           

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