"Alone in the Dark" di Uwe Boll

La formula è semplice, bastano una licenza da un videogioco conosciuto e un trailer con qualche scena ammiccante, che attiri l'attenzione dei fan. Nel mezzo un giocattolo anacronistico, debordante nella sua scoperta inattualità, paradossale nell'inconsapevole impegno auto-parodistico.

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L'inopinata pochezza con la quale Boll maneggia la materia filmica è tanto scoperta da rasentare il lirismo. Sembra impossibile che l'audacia quasi sfrontata con la quale inanella passaggi anti-climatici e scene destrutturate di qualsiasi parvenza narrativa non sia consapevole, attentamente studiata a tavolino, anche se poi ne sfugge la ragione di fondo. Dai tempi di Sanctimony fino al filone delle trasposizioni videoludiche – del quale Alone in the Dark fa parte insieme al terribile House of the Dead e ai futuri Bloodrayne, Dungeon Siege e Far Cry – il regista di origini tedesche non ha fatto altro che assommare retaggi iconici e sintattici degli anni '80 con un rigurgito di estetica videoclippara anni '90 mal digerita. Per il momento può permetterselo: i videogiochi sono l'industria dell'entertainment più florida. L'importante è ottenere licenze di nomi importanti, pur se di secondo piano. Poco importa il risultato finale, tanto gli appassionati un'occhiata ce la buttano lo stesso, fosse solo per curiosità, e quindi i soldi rientrano (l'inesplicabile successo mediatico di House.of the Dead è lì a dimostrarlo). Alone in the Dark è una gloriosa saga horror con visuale in terza persona, una delle prime a unire inquadrature sbilenche, salti sulla sedia e case infestate, che non molto tempo fa ha subito un aggiornamento tecnologico con un nuovo episodio-summa. Uwe Boll, particolarmente interessato al cotè orrorifico, non se lo è lasciato sfuggire e ha costruito un film anacronistico e velleitario. Già l'incipit è esplicativo, per come riesce a sclerotizzare la formula. 1) un diluvio di frasi scorrono sullo schermo a spiegare una complicata situazione fanta-cospiratoria (un'antica popolazione di nativi americani, un portale di collegamento a un'altra dimensione, creature sovrannaturali); 2) la voce-off del protagonista torna a spiegare e rispiegare il concetto; 3) non bastasse ancora, le prime concitate scene ripresentano visivamente il sostrato base al centro dell'azione. Quel che è peggio, in questo ammassarsi ridondante di informazioni, è che sono del tutto superflue. L'intreccio, banalmente, si limita a contrapporre un Christian Slater in caduta libera a uno Stephen Dorff svogliato, costretti a unire le forze contro una selva di mostri simil-Alien che sarebbero stati decisamente più a loro agio sullo schermo di un computer. Nel mezzo non manca la pedestre scena di sesso vedo-non-vedo con la povera Tara Reid, totalmente fuori luogo nei panni della scienziata. La mastodontica sovrastruttura schiaccia le (poche) potenzialità in un collage senza tregua di scenette risicate, slegate tra loro, ridicole: da quanto, ad esempio, durante un inseguimento di auto, non si vedevano le macchine travolgere i carretti del fruttivendolo? L'ultima scena credibile del genere, oltretutto in chiave ironica, risale probabilmente a Grosso guaio a Chinatown (1986!). Qui invece, agghiacciante ma vero, si fa sul serio.

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Titolo originale: Id.


Regia: Uwe Boll


Interpreti: Christian Slater, Stephen Dorff, Tara Reid, Frank C. Turner


Distribuzione: Mediafilm


Durata: 96'


Origine: Canada/Germania/Usa, 2005

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