Annie Colère, di Blandine Lenoir

Pur senza brillare, un film che comunque funziona, grazie soprattutto alla forza ed al coraggio di un gruppo di donne. Piazza Grande

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Non è certo strano arrivi dalla Francia un altro film significativo sul tema dell’aborto, dopo La scelta di Anne. L’événement, che ha vinto il Leone d’oro alla scorsa Mostra di Venezia. L’ intento della regista, sotto questo aspetto, è subito molto chiaro, ed è quello di riaprire un dibattito sulla questione e fornire il materiale storico da cui è partita la lotta, diffondere un metodo cui rifarsi per delle nuove battaglie. I due film francesi condividono il medesimo orizzonte problematico, le stesse finalità, mentre si distinguono per la narrativa e l’approccio politico più o meno diretto. Annie Colère lo trasforma in un segno distintivo attraverso le vicende della protagonista, Annie (Laure Calamy), che dopo essere venuta a contatto del Mlac per un aborto, ne diventa uno degli elementi più importanti, diffondendo il credo e le idee dell’associazione.

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Il MLAC è Movimento per la Libertà dell’aborto e della contraccezione attivo in Francia dal 1973. Un movimento illegale con poche e semplici regole: vogliamo creare un fatto compiuto e porre i poteri pubblici e l’Ordine dei medici davanti alle proprie responsabilità; vogliamo dimostrare che l’aborto può essere semplice: la tecnica dell’aspirazione, conosciuta in altri paesi, permette di demistificare quest’atto, di sdrammatizzarlo, senza, è chiaro, pretendere che l’aborto possa sostituire la contraccezione; attraverso quest’esperienza, per ora limitata agli aborti, noi vogliamo cambiare i rapporti tra medici e pazienti, e tentare così di abbozzare una medicina alternativa. Questi punti rappresentano in maniera fedele quanto cerca di restituire lo schermo, trasformandoli in un codice visivo. Lo sguardo si muove negli studi medici improvvisati dentro appartamenti privati, scelti per eseguire le operazioni, con un iter ben diverso di quello ospedaliero. L’assistenza comprende ascolto, comprensione, empatia, tutto un sistema studiato per trasmettere una vicinanza. Oltre ad essere divulgativo sul piano medico, il film è un chiaro manifesto attivista. Tratta temi come quello della rivendicazione di disporre del proprio corpo in totale autonomia, entra nel vivo delle riunioni del collettivo per seguire le strategie da intraprendere nelle varie fasi di sviluppo.

Per quanto riguarda invece la dimensione più intima della protagonista, il cambiamento è caratterizzato da un impegno crescente verso la causa e genera dei nuovi equilibri all’interno del suo stesso nucleo familiare. Stringendo l’obiettivo sul personale ottiene la costatazione di un fenomeno tanto grande da interessare la società intera, tale da richiedere un modo nuovo di intendere i rapporti, proiettando le donne verso un futuro indipendente e libero dai sciocchi tabù del passato, dove la realizzazione domestica e lavorativa non debbano per forza essere in contrasto. Il motore nascosto della trama è in sottofondo. Parte dalla richiesta di una revisione della legge sull’aborto fino a seguire, sempre a bassa frequenza, l’iter legislativo e le ricadute a livello applicativo. Il film senza brillare, funziona, grazie soprattutto alla forza ed al coraggio di un gruppo di donne. Nel raccontare una questione così spinosa sono non solo parte in causa, ma quasi unica voce leggittima, e non vogliono restarsene in silenzio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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