Architecton, di Victor Kossakovsky

Kossakovsky è meno sicuro nel dare unità al materiale filmico, ma resta centrale la questione etica che prova a dare risposta al problema ambientalista. BERLINALE74. Concorso.

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A quattro anni di distanza da Gunda, Victor Kossakovsky torna alla 74a Berlinale con il documentario Architecton, in cui indaga nuovamente, seppur in forma differente, il rapporto dell’uomo con la natura, l’impatto che ha su di essa e lo sfruttamento delle risorse. In un’alternanza ritmica di inquadrature di paesaggi mozzafiato – tra distese desertiche e tornanti che serpeggiano attorno a profonde voragini – si susseguono gli scambi intimi, esistenzialisti ed inquieti che lo stesso regista condivide con l’architetto italiano Michele De Lucchi circa lo stato attuale dell’architettura, e l’impiego di materiali come pietra e cemento per la costruzione di edifici e abitazioni e gli obiettivi di rinnovamento che dovrebbe porsi, nell’ottica di avvicinarsi sempre più a forme, materiali e strutture a basso impatto ambientale, che siano quanto più possibile in sintonia con la natura e le materie prime che mette a disposizione.

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Kossakovsky imposta la propria riflessione teorica sulla metafora della circolarità e il rapporto di causa-effetto tra costruzione e distruzione, mostrandoci come l’impronta umana che permane nel tempo, non potendosi trasformare né armonizzare con l’ambiente circostante – porti con sé un inevitabile lascito di macerie. Alla costruzione barbarica, irresponsabile, senza etica né aspirazione alla bellezza – intesa qui non in senso estetico, ma col significato di armonia ed equilibrio – non può esserci altra risposta che la ferocia e la devastazione della natura stessa. Attraverso le immagini riprese col drone degli edifici sventrati e abbandonati in Ucraina, delle antiche rovine del tempio di Baalbek in Libano e dei crolli causati dal terribile terremoto che ha colpito la Turchia all’inizio dello scorso anno, Architecton si ammanta di un sentimento apocalittico, accentuato dai ralenti di terreni frananti, di pietre e rocce che crollano e si trascinano e nubi di polvere che si sollevano, come valanghe o maremoti.

Più frammentato rispetto ai suoi precedenti lavori, stavolta Kossakovsky sembra meno sicuro nel gestire e dare unità a tutto il materiale filmico, che seppur affascinante in alcune sequenze, risulta a volte sconnesso nel tracciare e soprattutto approfondire un vero e proprio discorso filmico. Certo, rimane la questione etica, portata avanti in prima persona, mettendosi in scena accanto a De Lucchi, e in questo senso Architecton prova ad inserirsi, da un diverso punto di vista, nella corrente dei doc che tentano di dare una risposta al tema della crisi ambientale, com’era stato per Leonardo DiCaprio con Before the flood.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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