ARCIPELAGO 16 – The Short Planet

Gli angeli muoiono nella terraThe Short Planet è il concorso di Arcipelago che riguarda i cortometraggi internazionali. E’ una finestra aperta su altre realtà ma anche un’occasione per trovarsi a guardare le cose e le persone con occhi diversi dai nostri, occhi appartenenti ad altre cinematografie e culture che tentano di allontanarsi dagli "sguardi" codificati del cinema occidentale.

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Gli angeli muoiono nella terra The Short Planet è il concorso di Arcipelago che riguarda i cortometraggi internazionali. E’ una finestra aperta su altre realtà ma anche un’occasione per trovarsi a guardare le cose e le persone con occhi diversi dai nostri, occhi appartenenti ad altre cinematografie e culture. E sono due corti che provengono dal Medioriente (uno dall’Iran, l’altro da Israele) a dimostrare quanto sia importante, per questi cineasti, non rimanere chiusi in uno “sguardo” codificato, per trovare le proprie coordinate visive ed espressive.

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Fereshtegan dar khak mimirand (Gli angeli muoiono nella terra) di Babak Amini è una dolorosa incursione nei vasti spazi montani dell’Iran, dove una bambina si ritrova costretta a guadagnarsi da vivere cercando i resti dei soldati iraniani morti per poi rispedire le poca ossa trovate alle rispettive famiglie. La bambina assisterà al rapimento di un soldato americano da parte di alcuni terroristi islamici e cercherà di aiutare l’uomo, portandogli da mangiare e provando a curarlo. Il regista riesce nel difficile compito di adattare il suo sguardo ai luoghi nei quali si sviluppa la storia e a trasformare questi luoghi in spazi cinematografici suggestivi e allo stesso tempo ostili e sconosciuti (la neve, i colori lividi della terra). Una spazialità filmica che ricorda quella del Kiarostami di Dove è la casa del mio amico? e che manifesta la necessità di un cinema nazionale (quello iraniano) che trovi un suo linguaggio specifico nel narrare i drammi del proprio popolo. Agli ampi spazi montani si alternano inquadrature di particolari (il filo spinato, gli alberi, le ossa appese) che costruiscono altri paesaggi visivi, grazie ai rapporti tra le linee e le forme degli elementi presenti nelle inquadrature stesse.

 

Il corto israeliano si intitola Ha’hufsha (Permesso premio) e racconta l’impossibilità del rapporto tra un padre (in prigione, con tre giorni di permesso) e il figlio. L’uomo cerca di riavvicinarsi al ragazzo (pieno di rabbia, delusione, sospetti) che inevitabilmente alza barriere, muri di silenzi e frasi mozzate. Il regista, Amikam Kovner, mostra con sguardo lucido e disincantato i rapporti umani, immergendoli nella realtà israeliana, che per una volta tanto non è quella a cui siamo stati abituati dai servizi dei telegiornali. Qui le persone hanno ancora una loro individualità e non sono popolo, né massa confusa, ma volti distinti, psicologie precise, corpi che rappresentano, con i loro movimenti e scatti, la difficoltà (universale) del rapporto tra padri e figli, la paura dell’abbandono e l’impossibilità di comprendersi. Lo sguardo del regista forse non è così indipendente come quello di Babak Amini, ma riesce a tradurre in immagini i moti interiori della psiche, appoggiandosi anche ad una messinscena che predilige spazi e tempi quotidiani, lontani dalla guerra o dallo stato di paura (subita e perpretata) in cui vive Israele.

 

Alumbramiento Per intensità emotiva e profondità dei temi trattati spicca, tra i corti visti, Alumbramiento di Eduardo Chapero-Jackson che coglie in maniera disarmante, drammatica e allo stesso tempo profondamente umana il passaggio dalla vita alla morte, dalla sofferenza alla liberazione. Si assiste, infatti, agli ultimi istanti di vita di una donna affetta da cancro ai polmoni, circondata dai figli e da una infermiera, che cercano in tutti i modi (ormai, però, è rimasta solo la morfina) di non farla soffrire. Fino al momento della scelta (coraggiosa, piena di pietà) di una delle figlie di aiutare la madre a morire, togliendole i tubicini per l'ossigeno che l'aiutavano a respirare. In questi pochi minuti il regista è riuscito a svelare una delle verità umane più importanti e purtroppo dimenticate. La morte non è altro che un passaggio. Ed aiutare una persona a morire non è altro che un modo per accompagnarla verso questo passaggio, con tutto l’amore e la dolcezza possibili.

 

E infine ricordiamo A bicycle trip di Avoletta, Nambiar, Veracini, tutti del centro sperimentale di cinematografia. Un breve corto di animazione in cui si può rivivere la famosa passeggiata in bicicletta del dottor Hoffman in cui si palesarono davanti ai suoi occhi increduli gli effetti dell’LSD. Il corto esplora le possibilità delle allucinazioni visive indotte dall’acido come campo di espressione artistica ed estetica, luoghi in cui i processi logico razionali di percezione e decodificazione della realtà vengono meno per lasciare spazio ad una visone differente delle cose, piena di meraviglia e curiosità. Ed il corto è anche un bel modo per ricordare la recente scomparsa del dottor Hoffman, una delle figure più importanti (anche per i suoi scritti, le sue scoperte in campo scientifico e la sua incredibile apertura mentale) del secolo passato.

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