ASIAN FILM FESTIVAL 2012 – "Celestial Kingdom", di Wang Chao


Celestial Kingdom
è un film che mira alla “composizione”, non cerca il movimento dell’inquadratura ma nell’inquadratura: film arduo e fieramente radicale nel proporre una testimonianza estrema ed estremizzata di un mondo e delle sue deformazioni. Wang Chao continua ad utilizzare il cinema come cassa di risonanza da un lato e come atto di resistenza da un altro…

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Un cinema sicuramente arduo quello di Wang Chao. Lontano anni luce dall’estetismo di maniera del suo vecchio maestro Chen Kaige e fieramente radicale nel proporre un’inquadratura concepita come testimonianza estrema ed estremizzata di un mondo e delle sue deformazioni. Siamo in una zona rurale del nord della Cina (altro mondo rispetto a Eng Dayyan) dove antiche tradizioni impongono il matrimonio agli uomini anche da morti…se non lo hanno fatto da vivi la famiglia è costretta a comprare una cadavere femminile per unire il defunto nel sacro vincolo e seppellirli insieme. Ma questa è solo un’esile trama che viene dilatata e sottoposta continuamente allo sguardo antropologico/riflessivo del regista: inquadrature fisse, netta prevalenza di campi medi e lunghi, niente colonna sonora, pochissimi stacchi di montaggio ed insistito utilizzo del grandangolo per sfondare continuamente il campo e mettere al centro il paesaggio nella sua vastità. Celestial Kingdom è un film che mira alla “composizione”, non cerca il movimento dell’inquadratura ma nell’inquadratura: i lenti ed estenuanti viaggi in motorino dei protagonisti mettono a dura prova lo spettatore. Non c’è scampo: o ci si abbandona al dato visibile o fatalmente si abbandonerà la sala.

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Wang Chao procede quindi per sottrazione nella messa in scena e per accumulo di suggestioni: l’agghiacciante condizione femminile (privata di qualsivoglia atto di volontà), l’accettazione acritica di tradizioni che stridono enormemente con un progresso ai margini (l’utilizzo del cellulare, posto strategicamente come motore relazionale) e una fastidiosa sensazione di “dominio” del denaro e del mercato in molte scelte apparentemente obbligate (prender moglie, comprarne un'altra, procurarsi un cadavere). Insomma l’impeto documentaristico di Wang Chao si risolve ben presto in una accuratissima e consapevole indagine che utilizza il cinema come cassa di risonanza da un lato e come atto di resistenza da un altro. L’inquadratura finale è talmente potente nella sua violenza celata che scuote nel profondo, lascia attoniti, chiude un film e apre un pensiero…

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