BERGAMO FILM MEETING 31 – "Le gente vuole solo litigare" – Incontro con Yariv Horowitz

yariv horowitz

Dopo il successo riscosso dal film durante la serata di apertura, Yariv Horowitz incontra il pubblico del Bergamo Film Meeting. Molte sono le curiosità e le domande suscitate dalla visione di Rock the Casbah, alle quali Horowitz risponde, parlando delle difficili condizioni di produzione nei territori di confine, delle reazioni del pubblico in patria e di quello internazionale.

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yariv horowitzDopo il successo riscosso dal film durante la serata di apertura, Yariv Horowitz incontra il pubblico del Bergamo Film Meeting. Molte sono le curiosità e le domande suscitate dalla visione di Rock the Casbah, alle quali Horowitz risponde, parlando delle difficili condizioni di produzione nei territori di confine, delle reazioni del pubblico in patria e di quello internazionale.

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Quali sono le difficoltà che hai incontrato a girare un film del genere in patria?

Nella fase di produzione, tutti volevano essere coinvolti nel film, tutti avevano da dire la loro. L'Israeli Film Found aveva molto da dire sulla sceneggiatura quando è stata presentata così pure i palestinesi dei villaggi dove abbiamo girato. I produttori israeliani erano il Film Found, appunto, e Channel 10. I primi sono sempre stati tendenti alla sinistra, mentre i secondi sono di destra. Il Film Found voleva che nel film ci fosse più violenza nelle scene con i soldati mentre Channel 10 ne chiedeva di meno. Il produttore arabo, invece, si rifiutava di produrre il film e di farmelo girare a meno che non cambiassi il nome al cane, che nella sceneggiatura avevo nominato Arafat. C'erano così tante interferenze da parte di terzi, così tante discussioni che alla fine si sono stancati di litigare e io ho fatto come volevo. Poi ci sono stati problemi anche durante le riprese, quando i palestinesi hanno bloccato il set con le loro macchine sempre per il cane. Io non volevo cedere, ma il produttore arabo ha detto che era solo una questione di soldi. Alla fine li ha pagati e loro se ne sono andati. Un'altra storia divertente è che i bambini del film, che non sono attori ma bambini dei villaggi, si divertivano a tirare pietre durante le riprese. Ma comunque, se all'inizio c'era una divisione tra israeliani e palestinesi sul set, alla fine eravamo tutti così entusiasti di fare un film che siamo diventati tutti amici.

La storia è ambientata nel 1989, durante la prima intifada palestinese. Tu eri giovane allora. Che ricordi hai di quel periodo e perché hai scelto proprio questo momento storico per il tuo film?

A 18 anni sono entrato nell'esercito per tre anni. Era il 1993 ed ero stazionato a Nablus come fotografo dell'esercito. Per me era una situazione strana visto che vengo da una famiglia estremamente di sinistra. Tanto di sinistra che mia zia era l'amante di Mahmoud Darwish, il poeta nazionale palestinese. Rita, una delle sue poesie più famose e più sessuali è su mia zia infatti. Ogni volta che ho problemi con gli arabi la tiro fuori e rimangono tutti impressionati. Quando ero soldato mia madre diceva che eravamo tutti un gruppo di coglioni. E io le rispondevo che non poteva capire, che non aveva il quadro completo della situazione. Noi eravamo tutti giovani, non sapevamo che dovevamo fare. Ricevevamo ordini, ma non sapevamo come eseguirli. Ho scelto il 1989 perché in quell'anno un soldato fu ucciso da una Peugeot buttata da un tetto ed era qualcosa che ancora ci metteva paura. Inoltre, eravamo pochi soldati in mezzo a tantissimi arabi. Eravamo terrorizzati. A 18 anni vuoi essere amato da tutti, essere cool, ma la gente ti sputava addosso e ti tirava cose.

Quali sono state le reazioni in patria? E, invece, che accoglienza hai trovato all'estero, ad esempio Berlino, dove hai vinto la sezione Panorama?

Ero davvero sorpreso alla reazione del pubblico a Berlino, dell'interesse mostrato nei confronti del film. Un giornale lo ha addirittura messo tra i 10 film da vedere e i biglietti sono andati a ruba. La gente era davvero attratta dal film, ha avuto reazioni forti. Mi ha fatto particolarmente piacere quando una donna palestinese esiliata in Germania, che veniva proprio dalla striscia di Gaza, mi ha avvicinato e mi ha detto che per la prima volta ha provato dispiacere per i soldati. E poi ho ricevuto ottime critiche. In patria, invece, è stato un disastro. La gente va a vederlo, ma i critici di sinistra dicono che è troppo buonista, quelli di destra e i palestinesi dicono il contrario. Qualcuno addirittura ha detto che dovrei essere impiccato per un film del genere. La cosa positiva, o forse no, è che se internet si è creato un forte dibattito al riguardo, quasi brutale tra le opposte fazioni. E mi sorprende sempre vedere quanto sia ancora così intenso il dibattito, come in una famiglia che litiga. Io proprio non riesco a capirlo. La gente vuole solo litigare.

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