BERLINALE 65 – Queen of the Desert, di Werner Herzog (Concorso)

queen of the desert

Davvero un oggetto di impossibile identificazione. Un grande romanzo d'avventura che sfiora la grandeur kolossal, per affondare poi nei gorghi tempestosi del mélo più classico ed abusato. Herzog lavora ai margini della convenzione, se ne lascia blandire, per poi abbandonarla con la sua solita ironia. Sembra cambiare registro. Ma è sempre sul confine che punta gli occhi

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La vita e le avventure di Gertrude Bell, “al-Khatun”, la gran dama della politica internazionale britannica nei primi decenni del ‘900. Un personaggio herzoghiano, molto probabilmente: una donna dal temperamento indomito che ha attraversato in lungo e in largo le frontiere tra le nazioni, i popoli e i generi. Scrittrice, archeologa, agente del servizio segreto britannico, diplomatica. Ma, soprattutto, una rispettosa ammiratrice degli usi e degli stili di vita delle tribù beduine, che riconosceranno in lei l’unica persona in grado di capirne a fondo lo spirito e, quindi, l’unica vera interlocutrice “occidentale” accreditata. Sarà proprio per questo motivo che, su decisione di Winston Churchill, la Bell sancirà l’accordo tra i fratelli Abd Allah e Faysal, tracciando i confini tra la Giordania e l’Iraq, i due nuovi regni sorti dall’esplosione dell’Impero Ottomano.

 

Sì, un personaggio senza dubbio herzoghiano, costantemente al limite, una specie di avanguardia “aliena” alla conquista di un altro pianeta sconosciuto, caparbia e inscalfibile nella sua ossessione. Ma per Herzog, abituato alle prospettive spiazzanti, si tratta innanzitutto di una donna, praticamente una novità per il suo cinema. E per questo, per gran parte del film, il problema più pressante di Gertrude Bell sta nel conflitto tra la propria femminilità e l’aspirazione alla libertà, il suo dramma più vivo e doloroso consiste nell’irrealizzabilità dei suoi sogni d’amore tra le tempeste di sabbia della Storia e i vincoli della società. Come se la questione determinante, per il personaggio, fosse trovare una collocazione, un diritto d’asilo nell’universo morale di un autore immenso, ospitale magari, ma senz’altro difficile. Come il deserto.

Visto da quest’ottica inaspettata, Queen of the Desert è davvero un oggetto di impossibile identificazione. Un grande romanzo d’avventura che sfiora la grandeur kolossal di Lawrence d’Arabia (e proprio il cinema di David Lean sembra l’orizzonte visivo di riferimento, più volte blandito, per esser poi puntualmente tenuto a distanza), per affondare poi nei gorghi tempestosi del mélo più classico e abusato. Proprio le sfortunate storie d’amore della Bell con l’impenitente scommettitore, romantico corteggiatore Henry Cadogan e con l’affascinante diplomatico Charles Doughty-Wylie danno a Herzog l’opportunità di utilizzare fino in fondo tutto il repertorio di cliché del genere. Fino a toccare in più punti i limiti della parodia, della presa di distanza ironica.

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queen of the desertHerzog lavora ai margini della convenzione. Sembra cambiare registro, abbandonare le vertigini teoriche degli ultimi anni. Ma è pur sempre sul confine che punta gli occhi. Il suo è un attraversamento continuo dalla norma all’eccezione, dalla correttezza della ricostruzione, dei costumi, dello scenografie, all’inganno delle visioni, delle fate morgane. Segue le regole del mainstream e in questo gli dà man forte il cast di “icone” che lo circonda: la Kidman che sembra ormai tornata a esser decisiva in questo cinema biopic non pacificato, James Franco, sempre più genialmente cialtronesco, e Robert Pattinson, un Lawrence d’Arabia ai limiti della leggenda. Al punto da somigliare, stranamente, al The Water Diviner di Russell Crowe, esercizio fuori tempo massimo di un fascino antico… Ma, evidentemente, Werner resta legato al richiamo irrinunciabile dell’avventura, del cinema che esplora gli estremi geografici del mondo e gli estremi della propria tenuta, produttiva, linguistica, emotiva. Il deserto va attraversato, non è ricreabile in nessuno studio del mondo. Va affrontato, per coglierne il segreto. Come aveva ben capito la Bell. Per la prima volta, Herzog sembra aderire completamente al punto di vista del suo personaggio. Forse è questo ciò che distingue decisamente Queen of the Desert: finalmente, il cuore viaggia molto più veloce della testa. Gli occhi restano increduli. Ed Herzog, come Kaspar Hauser, è costretto a trovare un linguaggio nuovo, che parla d'amore. 

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