"Biancaneve", di Tarsem Singh
Il regista di Immortals firma una commedia brillante che ha il merito di discostarsi da una recente produzione fiabesca troppo debitrice dell’estetica twilightiana. Tarsem dà vita a ibridazioni raffinate, con uno stile visivo pieno che da un lato strizza l’occhio a Bollywood e dall’altro guarda ad Alice nel paese delle meraviglie, nelle architetture eccedenti e nei personaggi cartooneschi interpretati dagli straordinari Julia Roberts e Armie Hammer.
A conti fatti, è Mirror Mirror dell’indiano Tarsem Singh il vero spin-off della saga di Shrek, con la sua rilettura divertente e divertita della fiaba dei fratelli Grimm, e non il fiacco Gatto con gli stivali della Dreamworks.
In attesa che la Universal risponda con la sua principessa guerriera, affidata alla Kristen Stewart di Twilight, il regista di Immortals firma una commedia brillante che ha se non altro il merito di discostarsi da una recente produzione cinematografica, che ha spesso guardato all’universo fiabesco – Cappuccetto rosso sangue e per certi versi anche Beastly, – piegandosi troppo all’estetica twilightiana e a un romanzo di formazione in cui il sovrannaturale fluisce nell’ambientazione teen drama.
Mirror mirror, invece, rompe con questa (giovane) tradizione e si avvicina piuttosto ai pastiche della Contea di “Molto molto lontano”, giocando con i propri personaggi, riuscendo a dar vita a ibridazioni non scontate e commistioni raffinate, esplicitate soprattutto con uno stile visivo pieno, che da un lato strizza l’occhio a quell’essenza “bollywood” liberata nel finale – dove la Biancaneve di Lily Collins, prima imbrigliata da due coprotagonisti in stato di grazia, diventa effettivamente protagonista della scena – e dall’altro guarda ad Alice nel paese delle meraviglie, sia nella versione cartoon che in quella messa in piedi da Tim Burton, nelle architetture eccedenti e nei personaggi grotteschi in cui il talento visivo di Tarsem trova modo di esaltarsi.
La stessa regina cattiva di Julia Roberts (finalmente alle prese con un ruolo che segna un glorioso ritorno per la sua chioma focosa, spesso “ingrigita” dalle ultime scialbe interpretazioni) è in realtà una giocosa e bizzosa Regina di Cuori, che ammazza il tempo giocando a scacchi con i suoi servitori come pedine umane e una Diva che non ammette invecchiamento, come la Meryl Streep de La morte ti fa bella, di cui la Roberts reinterpreta vezzi e manie, assecondata da Nathan Lane – il lacchè Brighton – che introduce nel racconto un gusto camp derivante dal suo background di Broadway.
Su tutti, però, è probabilmente lo strepitoso Armie Hammer a impreziosire l’operazione cartoonesca di Tarsem: ancora una volta – come già in The Social Network e in J. Edgar – Hammer torna a giocare con la sua maschera, demolendola. Sia nei (doppi) panni dei gemelli Winklevoss, rampolli tanto statuari quanto ingenui, che in quelli dell’amico intimo di Hoover, l’attore conferma la sua vocazione a spiazzare, a disattendere le aspettative rappresentate da un’immagine classica e rassicurante. Qui tira fuori un principe azzurro incline al pianto e alla gaffe, messo a nudo (i vestiti dell’imperatore?) o trasformato – chiamando ancora una volta in causa Lewis Carroll – in bianconiglio.
Regia: Tarsem Singh