Blog NET NEUTRALITY. Il suo nome è Violetta. Di censura, divani e bandiere

Cosa avrebbero in comune Ursula Von Der Leyen, La Traviata di Martone in tv e Dario Franceschini che “abolisce la censura”? Presumibilmente nulla ma a tutti mancherà qualcosa: una sedia, un amore…

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Ma perché nessuno ne parla come fosse appunto una svolta epocale? Uno di quegli eventi che segnano indelebilmente i nostri tempi? Perché forse sarebbe come rivendicare quella sedia mancante per poi sprofondare comodamente sul divano, magari perdendo il centro della scena ma guadagnando inevitabilmente mediatica solidarietà. Di contro, l’indignazione che tutti hanno provato alla domanda “Ed io dove dovrei sedermi?”, senza ricevere risposta alcuna. La Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, lasciata “poltrire” dal Presidente turco Erdogan, è l’emblema del distacco mascherato da attacco, è l’emblema del tappeto turco, o quantomeno orientale, sotto cui si nasconde la polvere delle occasioni perdute, delle reali e assoggettanti monete di scambio internazionali. La Turchia è oggi, più che nel passato, un censore che accoglie l’immoralità e l’ipocrisia occidentale, purché venga ambientata in uno scenario anacronistico, quindi più consono al suo attuale status istituzionale politico-sociale. Un po’ come le richieste a cui dovette sottostare Giuseppe Verdi con Violetta, pardon, La Traviata, per portarla in scena, retrodatandola al Settecento. E Mario Martone lo sa bene, ha mostrato egregiamente la costruzione drammatica dell’opera, presentata l’altro giorno in prima serata su Rai Tre in esclusiva e disponibile su RaiPlay. Un flashback in cui ad esempio il Preludio del primo atto entra nella stanza in cui si svolge l’Atto III, come una deformazione della memoria, se non un sogno nel senso freudiano del termine, come soddisfazione di un desiderio. L’archetipo è intramontabile, legato alla proiezione di un desiderio di felicità (e libertà…) che supera la dimensione del tempo storico. Violetta è proprio figlia illegittima della censura. Ma quale censura?

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Quella della sedia mancante in prima linea o dei muri che l’Europa ha contribuito a alzare, assecondando un comodo divano, seppur defilato, ai piedi del sovrano misfatto. Torniamo alla prima domanda… perché allora non sembra aver fatto scalpore la notizia per cui il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha firmato il Decreto che abolisce la censura cinematografica? Si istituisce la Commissione per la classificazione delle opere presso la Direzione Generale Cinema del Ministero con il compito di verificare la corretta classificazione dei film da parte degli operatori. Si supererebbe quel sistema di controlli ed interventi che consentiva allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti. La suddetta Commissione è composta da 49 membri scelti tra esperti del settore artistico e dei settori pedagogico-educativi connessi alla tutela dei minori. In poche parole, un’opera cinematografica non potrà più subire veti distributivi e tantomeno tagli e “ritocchi”, mentre sarà sottoposta a verifica per la dovuta collocazione in determinate fasce di età, alla stregua dei contenuti e dei temi trattati. Bella conquista, se non fosse però che la censura, intesa quella del Ventennio o degli anni ’60 e ‘70, in realtà, già da tempo di fatto non esiste più, probabilmente l’ultimo caso eclatante da annoverare risale al 1988 e riguarda Totò che visse due volte, di Franco Maresco e Daniele Ciprì.

Qui si tratta di decidere se guardare il dito o la luna, la sedia mancante o quel comodo divano, magari spingendosi oltre, ai piedi dello stesso divano, sotto il tappeto persiano, turco, libico. Avrà fatto più male la scure dei tagli e delle manomissioni o l’imperante oscurantismo politico-culturale? Entrambi, certamente. Ma la mano con la scure si può combattere, anche schivandola, aggirandola, disarmandola creativamente, genialmente, gli oscuri piani invece ci sono ma non si vedono, se provi a braccarli finisci nella morsa schizofrenica dell’oblio, perché oggi quelle parole, quelle immagini agognate, non si fanno carne ma macchina, e se lo spirito soffia ormai anche sul non vivente, ma su oscure presenze, quali saranno le decisive trasformazioni cui andremo incontro?

Quali sfide porrà la coabitazione tra la remota censura tradizione (remota, almeno da noi…) e la mistificante censura contemporanea? In risposta potrebbe venire in aiuto, in qualche modo, in questi giorni bui, anche il filosofo sovranista russo, amico di Putin e Salvini, Aleksandr Dugin, teorico di spicco del partito nazional bolscevico, sventolando la sua bandiera nazista con al centro falce e martello. I tagli si possono ricucire, pure dopo molti anni, tragicamente in ritardo, invece le ombre le accetti e non le discuti più, ti lasci inglobare da esse, assumendo la definitiva postura innaturale rispetto al mondo, smarrendo inesorabilmente il coraggio dell’incursione senza rinunciare alla condizione essenziale della conoscenza: la capacità di sentirsi stranieri in ogni luogo, proprio come Violetta…

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